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Per migliorare la qualità dell’interazione persona-robot in ambito industriale (e non solo), è necessario che i robot esprimano le proprie intenzioni senza interferire con l’azione che il partner umano sta svolgendo. Uno studio coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, in collaborazione con l’Università di Ferrara, e pubblicato sulla rivista internazionale Science Robotics, ha individuato il momento più appropriato in cui un robot può comunicare la richiesta di passaggio di un oggetto senza disturbare l’azione umana. I robot che lavorano al fianco dell’uomo acquisiscono quindi un nuovo valore: il tempismo. Una migliore tempistica nello scambio di un oggetto porta a una svolta nell’interazione tra una persona e un robot, con evidenti benefici sulla qualità delle attività collaborative, sulla naturalezza dei movimenti e sulla sicurezza del processo lavorativo.
“La recente diffusione dei robot collaborativi in ambito industriale – spiega Marco Controzzi, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica e coordinatore dello studio – ci ha indotto ad affrontare, oltre agli aspetti di sicurezza, l’ergonomia del comportamento dei robot”.
“Questi aspetti, oltre all’adozione di nuove tecnologie di percezione e algoritmi di intelligenza artificiale, permetteranno che tali robot possano davvero risultare di aiuto durante l’esecuzione di compiti gravosi e ripetitivi” aggiunge Gastone Ciuti, professore di Bioingegneria dell’Istituto di BioRobotica.
IL “MOMENTO DECISIVO”
Secondo i ricercatori dell’Istituto di BioRobotica esiste una relazione tra la tempistica di richiesta di collaborazione tra persona e robot e l’efficienza nell’esecuzione di un’azione. Lo studio pubblicato su Science Robotics dimostra che il momento più adatto per il robot di trasmettere le proprie intenzioni è quello immediatamente successivo a quando l’operatore afferra un oggetto. Comunicando in tempo la propria richiesta di collaborazione, il robot faciliterà il passaggio di consegna evitando all’operatore di commettere errori e riducendo lo stress.
Ma come avviene concretamente la comunicazione tra la persona e il robot? “Attraverso un braccialetto – continua Controzzi – che sarà indossato dall’operatore e che vibrerà quando il robot richiede il passaggio di un oggetto”. Il robot è dotato di un sistema di visione che monitora il movimento dell’uomo: quando l’uomo è nella fase giusta per ricevere l’oggetto, il robot invia un segnale al bracciale che rilascia una breve vibrazione. Questo tipo di segnale aptico permetterà inoltre di aggirare le problematiche che possono derivare dall’utilizzo di segnali acustici e luminosi, non facilmente individuabili in un contesto caotico come può essere quello di un’industria.
“I risultati sottolineano l’importanza di riuscire a stabilire una comunicazione semplice e intuitiva tra persone e robot – commentano Francesca Cini e Tommaso Banfi, post doc dell’Istituto di BioRobotica e primi autori della ricerca – lo studio infatti prevede che il robot comunichi le proprie intenzioni tenendo conto sia dello stato dell’azione in corso sia della condizione dell’operatore al fine di facilitare quest’ultimo e non confonderlo. Tale approccio si è dimostrato efficace per rendere più fluida la collaborazione durante un compito manuale condiviso. Per questo motivo, con il nostro contributo, speriamo di far sì che le persone possano capire e interpretare il comportamento e le intenzioni di un robot, per riuscire a coordinarsi con esso in maniera intuitiva evitando che ne siano distratti od ostacolati”.
“Questo studio è un esempio di approccio multidisciplinare allo sviluppo della robotica collaborativa – aggiunge Laila Craighero, ordinario di Psicobiologia all’Università di Ferrara – Per poter trasferire efficacemente i risultati ottenuti in laboratorio nell’ambiente di lavoro o di casa è necessario che la robotica integri le conoscenze delle neuroscienze cognitive sul ruolo dei processi sensorimotori e cognitivi durante l’interazione dell’individuo con gli oggetti e con gli altri. I risultati di questo campo di indagine, che fin dall’inizio ha visto i ricercatori italiani protagonisti, sono fondamentali affinché il robot collaborativo non esegua un semplice gesto ma un “gesto adattato” al contesto ambientale, sociale e emotivo”.
LINK ALLO STUDIO: https://www.science.org/doi/10.1126/scirobotics.abg1308