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Anche dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in particolare dall’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo), si leva la voce di docenti e ricercatori uniti nell’appello lanciato dall’Università del Piemonte Orientale, dal Karolinska Institute (Svezia) e dalla Vrije Universiteit Brussel (Belgio) per chiedere il rilascio di Ahmadreza Djalali, eminente studioso di medicina delle catastrofi da cinque anni detenuto in una prigione dell’Iran, a Evin, e condannato a morte per le sue collaborazioni scientifiche internazionali. L’appello per Ahmadreza Djalali, che da alcuni giorni – grazie ai social media e al sostegno della rete internazionale Scholars at Risk (Sar) – sta creando una importante mobilitazione in tutto il mondo, nasce dall’allarme per la sua continua detenzione e per il ripetuto rifiuto delle autorità di fornirgli adeguate cure mediche. La violazione dei diritti umani dello studioso appare palese e preoccupante: la sua salute è gravemente peggiorata da quando, nel novembre 2020, è stato trasferito in isolamento.
La vicenda inizia nell’aprile del 2016, quando Ahmadreza Djalali, che lavorava in Svezia, viene arrestato mentre è in visita in Iran per partecipare a una serie di workshop nelle università di Teheran e di Shiraz. “Collaborazione con governi ostili” e “azioni contro la sicurezza nazionale” sono le motivazioni del suo arresto che culmina, il 21 ottobre 2017, con la condanna a morte per “corruzione in terra” (ifsad fil-arz), sulla base di infondate accuse di aver fornito informazioni di intelligence alle autorità israeliane e di attentato alla sicurezza nazionale. Ahmadreza Djalali ha contestato le accuse, sostenendo che i suoi legami con la comunità accademica internazionale sono la vera ragione del suo processo. Gli viene comunque negato il diritto di appello e viene sottoposto a torture e maltrattamenti.
Il 24 novembre 2020 le autorità iraniane trasferiscono lo studioso in isolamento e avviano i preparativi per eseguire la sua condanna a morte. Nel frattempo, la sua salute si deteriora, perde 12 kg, ha difficoltà respiratorie e forti dolori di stomaco, anche a seguito delle condizioni estreme a cui viene sottoposto in isolamento, come avere le luci accese 24 ore su 24 e per 7 giorni su 7. Il 14 aprile scorso Ahmadreza Djalali viene trasferito dall’isolamento a una cella di 30 metri quadrati con 14 occupanti, in una situazione di grave esposizione al rischio di contagio da Covid-19, mentre le autorità iraniane continuano a negargli il contatto con il suo avvocato, la sua famiglia e l’assistenza medica. La rete di Scholars at Risk chiede pertanto alle autorità iraniane di sospendere la sentenza capitale e di assicurare il suo immediato rilascio in modo che possa ricevere le cure mediche di cui ha urgente bisogno. Questo il link per unirsi alla campagna: https://www.scholarsatrisk.org/actions/ahmadreza-djalali-iran/.
Tra i primi firmatari e fautori dell’appello lanciato dalla rete internazionale di Scholars at Risk anche gli accademici dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, grazie alla campagna di sensibilizzazione promossa da Francesco Strazzari e Luca Raineri, rispettivamente professore ordinario e ricercatore in Relazioni Internazionali e Security Studies.
“Il caso di Ahmadreza Djalali, imprigionato da ormai cinque anni nelle carceri del regime iraniano – spiega il ricercatore Luca Raineri – non è purtroppo un caso isolato, ma la manifestazione della tendenza sempre più marcata, tipica di regimi autoritari, ma anche di alcuni governi sedicenti democratici, a stigmatizzare e colpire gli intellettuali indicandoli come nemici politici. Questo è un attentato alla libertà e alla dignità della ricerca, ma anche una chiara violazione dei diritti umani alla libertà di espressione”. “È importante – commenta sempre Luca Raineri – che la società e i centri di produzione della ricerca e dell’insegnamento e della conoscenza si mobilitino e tengano alta la guardia per assicurare che la libertà di ricerca, insegnamento ed espressione siano protetti e assicurati in tutto il mondo. La rete di Scholars at Risk, di cui fa parte la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è il primo network al mondo che si sforza di sensibilizzare sul problema della minaccia cui sono sottoposti gli studiosi e gli intellettuali, ma anche offrire soluzioni concrete”.
Scholars at Risk promuove il riconoscimento del diritto d’asilo a intellettuali in fuga da regimi oppressivi e l’ottenimento di borse di studio in Paesi che possano tutelare la loro libertà di espressione. “Questo è quello che sta portando avanti la rete italiana – aggiunge Luca Raineri – chiedendo che vengano rese disponibili borse di studio per ospitare in Toscana ricercatori a rischio. Di recente, proprio la Scuola Superiore Sant’Anna ha ospitato per tre mesi come visiting professor il politologo turco Ali Ekber, privato dei suoi diritti civili dal governo turco per aver firmato una petizione con cui si chiedeva di fermare le persecuzioni contro i curdi”. I casi di docenti e ricercatori a rischio nei Paesi dove vi sono governi autoritari, come Turchia, Iran, Etiopia, Libia, Emirati o Egitto sono numerosi. Tra questi, Luca Raineri rammenta la vicenda che “nell’ultimo anno ha visto come protagonista Patrick Zaki, ricercatore nel campo dei diritti umani, arrestato al suo ritorno in Egitto e attualmente detenuto senza che sia mai stato celebrato alcun processo”.