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Apriti Sesamo: l’iniziativa a favore della scuola in presenza e contro la DaD

Da più di un anno la scuola in Italia è negata.
Da più di un anno di fronte all’emergenza si risponde sempre con la stessa soluzione semplice e a costo zero: chiuderci in casa a fare la dad.
“Emergenza”: il ricorso a questa parola svela che le scelte politiche non sono mai neutre. Non è stata presa alcuna decisione né durante quest’anno né per il prossimo anno in grado di incidere strutturalmente sulla capacità della scuola di rimanere aperta in sicurezza. Non parliamo di soluzioni considerate come stravaganti, come quella dell’outdoor education, piuttosto di interventi quali la riduzione del numero di alunni per classe, investimenti sugli spazi, reclutamento di personale docente e non docente per garantire la gestione delle classi in sicurezza. Sappiamo invece che per il prossimo anno gli organici non sono stati aumentati di un solo posto, anzi sono stati effettuati dei tagli negli istituti professionali, sappiamo inoltre che 17 miliardi del Recovery Fund saranno destinati alle industrie di armi e quindi sottratti a sanità, scuola, servizi sociali, trasporti pubblici.
“Costo zero”: la chiusura della scuola in presenza è a costo zero in termini di denaro ma a lungo termine ha costi altissimi per quanto riguarda non solo l’apprendimento, ma anche la salute psichica dei ragazzi e di tutta la comunità. L’abbiamo letto in un’infinità di studi e statistiche, l’abbiamo ascoltato dalle parole di psicologi, neuropsichiatri, pediatri, pedagogisti. E queste parole parlano di un aumento vertiginoso di disturbi alimentari, psichiatrici, di tentati suicidi e di suicidi. Parlano di abbandono scolastico con numeri imparagonabili rispetto agli anni precedenti, con il risultato di alimentare le grandi differenze sociali che attraversano il paese. Risulta evidente agli specialisti, così come a noi insegnanti, che l’isolamento non rappresenta per bambini e ragazzi una prova che li renderà più forti, piuttosto una privazione di un bisogno primario che produce vuoto, apatia, disgregazione sociale a cui non potremo porre rimedio con nessun corso di recupero. Ricacciati i ragazzi all’interno della famiglia, viene meno quel ruolo fondamentale che la scuola pubblica ha di collante sociale, di garanzia per i diritti. Lo sapevamo già a marzo 2020, oggi ne abbiamo la certezza e l’evidenza: tutto questo non passa tramite uno schermo che discrimina, appiattisce, deprime. Dotare tutti di quello stesso schermo non è la soluzione. Vogliamo quindi la scuola in presenza perché abbiamo a cuore la salute dei bambini, dei ragazzi e della comunità. Vogliamo rivendicare il diritto ad un lavoro dignitoso per noi docenti, perché ci sentiamo sviliti in questo teatrino dell’assurdo che è la didattica a distanza.
La didattica a distanza si è pericolosamente imposta e ultimamente abbiamo ascoltato dichiarazioni di molti politici sulla opportunità di inserirla stabilmente come modalità didattica in un sistema misto. Il progetto è in cantiere da tempo, se ne sente parlare dal 2015, il piano nazionale scuola digitale parte dell’ossimorica riforma “La Buona Scuola”. Si è cominciato con i tablet in ogni classe e la didattica digitale, proprio mentre i nostri indici statistici ci rivelavano scolaresche sempre più incapaci di leggere, comprendere e comporre un testo scritto. Nel frattempo anche nella Silicon Valley i figli dei dipendenti dei colossi dell’informatica cominciavano per primi ad essere limitati nell’uso dei dispositivi.
L’unica cosa brutalmente reale è che dietro queste scelte c’è solo un’opportunità di risparmio sui costi di personale e di gestione dell’edilizia scolastica, condita con altisonanti termini inglesi.
Non ci sono motivi epidemiologici alla base della scelta di consentire, nelle zone rosse, la frequenza sino alla prima media. La scuola in presenza è garantita ai bambini che non possono stare a casa da soli, non agli altri, il che ci restituisce la visione della scuola come parcheggio.
Il ruolo dell’insegnante è ridotto ad asettico veicolo di informazioni nozionistiche, laddove non è più necessario per l’accudimento.
Per opporre il nostro rifiuto a questa politica scellerata ci mettiamo in gioco con i nostri corpi e la nostra capacità di creare relazioni vere.
Proponiamo un pomeriggio di lezioni in presenza all’aperto, tenute da docenti, alunni, genitori, interventi liberi sui temi che ci entusiasmano e con le modalità che ci sono più congeniali: la lettura di una poesia, la spiegazione di una legge fisica, un gioco in lingua straniera, la creazione di un’opera d’arte, una sessione di body percussion…
Vogliamo coinvolgere attivamente le famiglie e i ragazzi per dimostrare loro che sappiamo fare di meglio che chiuderli in una stanza davanti a uno schermo, che sappiamo stimolare il loro desiderio di apprendere e la loro creatività.
Vogliamo dimostrare che altri modi di fare scuola esistono e che insieme possiamo uscire più forti da questa esperienza che ci sta facendo chiudere pericolosamente in noi stessi.

Il programma del pomeriggio nel volantino allegato.