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Può essere l’orto maestro di vita e di integrazione? Sì, e lo dimostra l’esperienza realizzata nella città di Sassari, diventata caso studio per il progetto di ricerca multidisciplinare “Migrazioni & Mediterraneo. L’Osservatorio Sardegna” promosso dall’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del CNR in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf). Un progetto coordinato da Alessandra Cioppi, ricercatrice di Storia medievale e Scienze Storiche dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea (ISEM) del CNR, che firma assieme a Elena Seu, assegnista di ricerca, il volume “L’orto alimento dell’anima e del corpo. Dall’hortus monasticus agli orti urbani” ora pubblicato da Pacini Editore. Il libro, che contiene diversi contributi di studiosi e ricercatori, è il primo della collana “Urbes Rura. Forme, processi, mobilità urbano rurali nell’Europa mediterranea”.
Il volume rappresenta il racconto di una esperienza di vita e, in qualche modo, di possibile rinascita che, da un lato, è progetto scientifico e di ricerca aderenti alla realtà e, dall’altro, esperimento sociale capace di dare risultati e frutti nel miglioramento della qualità della vita dei soggetti coinvolti, in questo caso anziani e migranti.
Due gli obiettivi del progetto raccontato nel volume: aprire un dialogo sulla complessità delle tematiche migratorie e rivolgere l’attenzione non solo al fenomeno delle migrazioni mediterranee contemporanee e agli attuali scenari sociali e culturali, ma all’analisi dell’impatto che tali flussi migratori hanno avuto sulla Sardegna trasformandola, data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, in un osservatorio privilegiato. Fondamentale la cooperazione e la sinergia di ricercatori CNR, docenti universitari, organi istituzionali, amministrazioni pubbliche, associazioni di categoria e operatori del terzo settore. La Sardegna è diventata quindi la base di partenza per un progetto pilota da estendere in campo nazionale.
La “cultura” e la “coltura” dell’orto sono stati pensati come una proposta concreta di buona pratica da sottoporre agli operatori del sistema di accoglienza del territorio sardo per coinvolgere in maniera diretta le comunità dei migranti con le comunità territoriali.
La città di Sassari è stata individuata come caso studio anche per la sua tradizione di orti urbani. L’amministrazione comunale, nel 2018, ha messo a disposizione del progetto un ampio orto incolto, all’interno della residenza per anziani Casa Serena. Si è poi passati al coinvolgimento di alcuni ospiti di un centro di accoglienza per migranti e di esperti ortolani mentre docenti e ricercatori del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna (DISTAL), e ricercatori dell’IBE-CNR (Istituto per la BioEconomia di Bologna) hanno avviato un Corso di formazione sul sistema degli orti, mettendo insieme le diverse esperienze presenti nel territorio cittadino, favorendo in questo modo l’incontro tra gli ospiti del CAS e i locali sassaresi.
“Il fenomeno degli orti urbani accostato alle migrazioni – spiegano le curatrici del volume e del progetto – sta acquisendo sempre più interesse da parte della ricerca alla luce della riscoperta degli orti urbani nell’attualità. A questo riguardo si ricorda che, sul finire degli anni Settanta, fu il Ministero dell’Agricoltura a commissionare un’indagine all’Associazione Italia Nostra per capire l’entità di un fenomeno in crescita come quello degli orti urbani in numerose città quali Torino e Milano, a testimoniare la rilevanza che il fenomeno ebbe già nel passato”.
“L’aver scelto come luogo di azione il giardino di Casa Serena – aggiunge Alessandra Cioppi – non è stato casuale. I giovani migranti, ospitati nei CAS del territorio sassarese, insieme ai cittadini, agli anziani residenti nella Casa di riposo e agli insegnanti del Corso, hanno dato vita a un orto condiviso nel quale si sono trasmesse esperienze e saperi di diverse generazioni, di differenti culture e tecniche semplici ma al contempo innovative, fra le quali la coltura in cassette”.
“L’orto – commenta infine la ricercatrice – può costituire un circuito virtuoso come strategia educativa e sociale: è una base eccellente per creare momenti di aggregazione, attuare opportunità di incontro, avvicinare il singolo al gruppo e viceversa. L’orto può costruire valori comunitari e di integrazione e stimolare la socializzazione degli abitanti di un territorio con i migranti che su di esso sono presenti, grazie alla condivisione di uno spazio e di un lavoro comune. L’orto può garantire la possibilità di autoprodursi ma anche di produrre per gli altri e attraverso lo scambio di competenze, esperienze, pratiche e tradizioni, può diventare un punto di forza per insegnare e tramandare un lavoro semplice ma complesso, che di giorno in giorno è in grado di svilupparsi e rinnovarsi costituendo un vero e proprio “laboratorio di ricerca”, fondamentale non solo per le scienze agrarie e bioagroalimentari ma anche per quelle sociali”.