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La pandemia non è solo una sfida sanitaria. Fatta di tempi, di
strategie, di analisi, di scelte. E’ un banco di prova per i sistemi
istituzionali, per la politica, per la Pubblica Amministrazione. Ed è
un grande appuntamento con la storia. L’Italia è stata reattiva, ma si
è fatta trovare impreparata e disorganizzata. Come capita spesso, la
crisi ha esaltato le qualità e la generosità di tante nostre persone.
Ma ha messo a nudo l’inadeguatezza di una classe politica spesso
distratta, superficiale, lontana dalla realtà. I tagli lineari e
indiscriminati nella sanità, ad esempio, decisi negli ultimi anni,
sono lì a dimostrarlo: come accade spesso nelle organizzazioni, sono
il segnale della resa, dell’incapacità di scegliere. Sono la fuga
dalle responsabilità. Questo non è mai accettabile, neanche quando si
parla di organizzazioni profit e di sistemi ispirati dall’esclusivo
vantaggio finanziario. Men che meno quando vi è in gioco la cosa
pubblica, l’interesse collettivo, la vita delle gente.
Con i nostri ritardi, con le nostre incertezze e le polemiche che
fanno sempre da contorno, anche l’Italia alla fine vaccinerà la
maggioranza della popolazione. Ci vaccineremo per diversi anni e la
pandemia verrà messa alle spalle, con i suoi tanti morti e feriti, con
le sue code psicologiche, sociali ed economiche. La gente gradualmente
tornerà ad incontrarsi, a frequentarsi. Si tornerà ad andare in
vacanza, al ristorante, in palestra, al cinema, a teatro, forse anche
più di prima, perché quelle cose ci stanno mancando tanto. E non a
caso, le aree marketing delle grandi multinazionali sono al lavoro da
mesi per trovare i messaggi giusti, per ribaltare la prospettiva, per
scommettere sul “riscatto collettivo”.
Una trama che alimenta speranza, rassicurante e liberatoria.
Ma quale sarà il futuro del Paese? Come si vivrà nei prossimi anni?
Quali saranno i valori guida, le regole di ingaggio? Ci sarà spazio
vero per i giovani, per le donne, per chi vuole fare impresa? Si
faranno gli investimenti giusti, in tempi congrui? Si darà il giusto
spazio al rispetto dell’ambiente, si darà la giusta attenzione alle
fasce deboli? Si investirà per davvero nella tecnologia utile, nella
scuola, nei trasporti di nuova generazione? Lo smart working sarà per
davvero intelligente? Si riuscirà ad investire nella competenza, nella
serietà, nella leadership di chi governa le istituzioni, le grandi
imprese, le grandi organizzazioni? E ancora, cosa si farà di concreto
per chi ha perso il lavoro, e per chi faceva fatica già prima della
crisi? Come si aiuteranno le imprese in difficoltà, o chi non ce l’ha
fatta? Quali tutele si metteranno in atto per evitare che la malavita
organizzata o le reti finanziarie senza scrupoli acquisiscano a prezzi
di saldo imprese eccellenti costrette a fallire? In sintesi,
riusciremo a sfruttare la lezione, gestendo con la stessa serietà
l’emergenza e le scelte strategiche?
Il vaccino salverà tanta gente e rimetterà in moto l’economia dei
consumi. Ma non ci salverà dalla deriva culturale, sociale e politica.
Per affrontare seriamente queste sfide serve un cambio di paradigma.
Bisogna curare e prendersi cura.
La politica dovrà prendere lezioni dalla Sanità. Da anni i medici, gli
infermieri, gli operatori sanitari si confrontano e si scontrano
intorno a queste due dimensioni inscindibili. Ed entrambe
indispensabili.
Per curare serve sapere e saper fare. Serve la competenza,
l’esperienza, la concretezza, la determinazione. Per prendersi cura
serve saper essere. Bisogna ascoltare, capire, mettersi nei panni,
interpretare i bisogni, dare senso e accogliere. Se la vita delle
comunità passa dalle scelte che vengono fatte, dalle decisioni che si
prendono, dall’attenzione vera verso le esigenze delle persone, dalla
capacità di creare opportunità per tutti, dalla contagiosa passione
dei giovani, dall’esempio di tanti silenziosi cittadini che fanno la
propria parte, allora ci troviamo di fronte a un quadro
straordinariamente complesso. Serve un cambio di passo epocale.
Alcuni malati di cancro affermano che la paura di non farcela è
terribile come il male che li ha colpiti. E che l’abbraccio del
chirurgo, quel momento lì, è stato decisivo. Una scossa, un brivido
che entra nelle ossa, nei muscoli, nei tendini, nella testa.
Dobbiamo essere più seri, più preparati, più coraggiosi, e anche più
onesti. Ma soprattutto dobbiamo innamorarci del nostro futuro.
Dobbiamo dedicarci alla bellezza, alla qualità e all’autenticità dei
rapporti. Dobbiamo diventare fieri dei nostri successi. Dobbiamo
isolare i delinquenti, e rendere la vita più facile alle tante persone
per bene, che ogni tanto sbandano e vanno incoraggiate, abbracciate.
Dobbiamo far accadere cose concrete e raccontarle, dedicando meno
tempo prezioso alle polemiche. Dobbiamo gridare con l’esempio, con i
comportamenti esemplari. Dobbiamo scuotere le coscienze.
Dobbiamo curare e prenderci cura dei problemi.
Dobbiamo prenderci cura di noi stessi.