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Santi che salvano città e campagne da tempeste e inondazioni e nubifragi, i cosiddetti miracoli dell’acqua e dell’aria, furono “inventati” nell’Italia centrosettentrionale nel VI secolo in risposta ai cambiamenti climatici. La connessione piuttosto inaspettata fra eventi prodigiosi ed osservazione scientifica deriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista Climatic Change e guidato dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa grazie ad un finanziamento della Fondazione della Cassa di Risparmio di Lucca.
Al centro della ricerca, basata su dati climatici ottenuti da archivi naturali e fonti storiche, c’è la vicenda del miracolo di San Frediano che nel VI secolo salvò Lucca dalle inondazioni del Serchio. Il fiume, che all’epoca aveva diversi rami, rappresentava infatti un continuo pericolo per le sue imprevedibili piene. In occasione di una di queste, come raccontato nei “Dialoghi sui miracoli dei Padri italiani” attribuiti a papa Gregorio Magno, Frediano prese un rastrello, fece una traccia e impose al Serchio di seguirla allontanandolo così dalla città.
“Nel VI secolo, un periodo noto anche come “diluvio Medievale”, l’Italia centro settentrionale era diventata davvero una terra di piogge torrenziali e alluvioni – racconta Giovanni Zanchetta professore di geologia dell’Università di Pisa e primo autore del saggio – la storia di San Frediano non è un caso isolato e in questo studio, grazie ad un approccio multidisciplinare, che ha messo insieme esperti internazionali di geochimica, specialisti del clima, storici e geoarcheologi, abbiamo dimostrato quel cambiamento climatico a cui fanno riferimento le fonti scritte”.
Per ottenere dati sui climi passati, sono stati esaminati alcuni campioni di stalagmiti provenienti dalla grotta Renella nelle Alpi Apuane nel nord della Toscana. Al loro interno i ricercatori hanno trovato il segnale di intense precipitazioni di origine atlantica. Nella ricostruzione effettuata nel VI secolo infatti importanti masse di aria umida provenienti dall’Oceano raggiunsero l’Italia settentrionale e centrale provocando massicce precipitazioni e inondazioni.
L’analisi in particolare ha riguardato lo studio delle concrezioni della grotta nel corso dei secoli che nelle loro proprietà chimiche e fisiche registrano le condizioni ambientali. La misurazione del rapporto degli isotopi dell’ossigeno negli strati successivi che si deponevano progressivamente ha infatti permesso al team di distinguere tra periodi più umidi e periodi più secchi, che sono stati datati utilizzando il metodo uranio-torio. Su questa base, i ricercatori hanno quindi verificato che il VI secolo d.C. nell’Italia settentrionale e centrale si distinse dagli altri per un eccezionale livello di umidità.
“Questo nuovo approccio “ibrido” allo studio degli impatti climatici sulle società passate basato su dati sia naturali che storici, – conclude Monica Bini (responsabile del progetto finanziato dalla Cassa di Risparmio di Lucca) – consente di comprendere meglio ‘come andarono davvero le cose’ e da un altro punto di vista ci mostra quanto siano varie e imprevedibili le risposte culturali che nel corso del tempo le società hanno dato al cambiamento climatico”.