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Domani alla Scuola Sant’Anna convegno sulla prima fase del progetto per riflettere sulla prospettiva di genere

“Il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto” per andare oltre il concetto di protezione. Donne madri e vittime, ma anche coinvolte come agenti di violenza: a 20 anni dalla Risoluzione Onu 1325/2000 una riflessione sul loro ruolo nelle operazioni militari

Donne vittime e coinvolte come agenti di violenza nei Paesi in guerra. Donne da proteggere e sostenere ma anche da valorizzare nei processi di creazione e di mantenimento della pace. Qual è il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto? A venti anni dalla risoluzione Onu 1325/2000 su “Donne, Pace e Sicurezza”, che richiede alla comunità internazionale di valutare l’impatto della guerra sulle donne e di incentivare il loro contributo nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in collaborazione con il Comando operativo interforze e le Forze armate apre una riflessione sulla prospettiva di genere in questo contesto. Nel quadro del progetto sperimentale “La prospettiva di genere e la sua adozione nelle operazioni militari a 20 anni dalla risoluzione Onu 1325/2000”, mercoledì 24 febbraio alle ore 10.00, nella sede centrale della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa si tiene il convegno “Il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto”, prima fase di un percorso che coinvolge gli allievi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, della Luiss di Roma e dell’Accademia Militare di Livorno. Alla conclusione del progetto, le allieve e gli allievi saranno chiamati a redigere report da presentare al Ministro della Difesa, ai vertici militari del Comando operativo interforze e ai rettori delle rispettive Università.

Il convegno di mercoledì 24 febbraio è aperto dai saluti di Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna, e di Pier Federico Bisconti, capo di Stato Maggiore del Comando operativo interforze. Seguono gli interventi di Federica Mondani, avvocato e gender advisor del Comando operativo interforze, sulla “Questione di genere nelle forze armate e nelle operazioni militari”; di Anna Loretoni, preside della classe di Scienze sociali e docente di Filosofia politica dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica e Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna; di Elisa Piras, assegnista di ricerca in Filosofia politica all’Istituto Dirpolis, sulla “Risoluzione 1325 delle Nazioni Unite: aspetti teorici e dilemmi pratici”; di Nicola Bellé, ricercatore dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna, su “Un esperimento di misurazione degli sterotipi di genere”.

“Le forze armate – spiega Anna Loretoni, in qualità di esperta di genere e sicurezza – sono sempre più sensibili a questo tema, e la risoluzione 1325, che riguarda l’impatto della guerra sulle donne e il contributo che esse possono dare nelle dinamiche delle soluzioni di conflitto, ne è una prova. La risoluzione tende in particolare a valorizzare la partecipazione attiva nei processi di pace e sicurezza e per la prima volta, dopo la Conferenza di Pechino del 1995, viene adottata una prospettiva di empowering del loro ruolo”.

“Da una delle più recenti indagini Istat – osserva ancora Anna Loretoni – emerge che pregiudizi e stereotipi confinano uomini e donne in determinati ruoli, in ogni situazione, incluse le operazioni di pace”. “Sebbene siano passati venti anni dalla Risoluzione – conclude Anna Loretoni – notiamo ancora una diversa sollecitudine dei vari governi sul piano della sua applicazione. Per esempio, la violenza di genere e quella sessuale hanno avuto un’incidenza fuori dal comune in conflitti civili come quelli che hanno segnato il Congo e il Rwanda. Certo, molto è stato fatto, ma ancora molto c’è da fare”. Su questo punto, interviene Elisa Piras: “Negli anni, il numero dei Paesi che hanno aderito a questa agenda è sensibilmente aumentato, ma non tutti hanno mostrato la stessa sollecitudine. L’Italia, ad esempio, sta elaborando il suo quarto piano di azione nazionale, mentre altri Paesi (tra i quali Bulgaria, Russia e India) ancora faticano a trovare il testo del primo piano. Una differenza che si vede ancora riflessa nel modo in cui le forze armate dei diversi Stati affrontano le questioni di genere nelle situazioni di conflitto anche al loro interno”.

I Paesi Scandinavi sono per esempio più avanti di altri rispetto all’aumento nei contingenti di donne attive in operazioni di pace, mentre Russia e Grecia sono ancora molto indietro. Tra i “dilemmi” che Anna Loretoni ed Elisa Piras provano a evidenziare in relazione all’applicazione della risoluzione Onu 1325 c’è anche quello sul suo impatto e sulla sua utilità anche per la ricostruzione che segue a conflitti nei quali i fenomeni di violenza sessuale e di genere non sono stati particolarmente rilevanti rispetto ad altre forme di violenza. Una sfida per la risoluzione 1325 è quella di produrre una svolta culturale, che permetta un diverso inquadramento del ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto.

“Ci si è focalizzati più sulla protezione – spiega Elisa Piras – che sulla promozione della partecipazione attiva Questo vuol dire inquadrare le donne come vittime: si aiutano le donne madri, bisognose, per esempio, di latte in polvere, ma si fa meno caso a ragazze che hanno bisogno di studiare”. Promuovere non solo la protezione ma anche la partecipazione delle donne nelle operazioni di peacebuilding significa quindi “attuare tutte quelle misure e strategie che consentono di reinserire nella vita civile anche le donne che durante un certo conflitto sono state ‘agenti di violenza’. Per esempio in Congo, osserva Elisa Piras, molte bambine e ragazze delle ultime generazioni sono state incluse nella guerriglia o in situazioni di violenza. Pensare le donne soltanto come vittime rischia di farci perdere la possibilità di aiutare queste persone direttamente coinvolte in una guerra civile e che hanno bisogno di reintegrarsi”.

“Cercheremo di ampliare lo spettro della complessità della situazione – concludono Anna Loretoni ed Elisa Piras nel presentare l’appuntamento di mercoledì 24 febbraio – per dimostrare che bisogna pensare in termini di protezione, ma anche di partecipazione delle donne. Insomma, per uscire dallo stereotipo di donna vittima o madre occorre un’operazione di gender mainstreaming, considerando la donna in tutti gli aspetti collegati al peacekeeping. La nostra è una analisi concettuale e teorica; per la sua applicazione nel contesto dell’implementazione della Risoluzione 1325 è imprescindibile il dialogo con le Forze armate, le ong, i governi, la società civile”.