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La ritirata del governo sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio sembra non avere più limiti: la scelta di ridurre dal 75 al 50% la percentuale di attività che si svolgeranno in presenza nelle scuole superiori è stata soppiantata, a due giorni dalla scadenza, dalla decisione di rimandare l’apertura all’11 gennaio; apertura, tra l’altro, confermata per la Toscana ma non per la maggior parte delle altre regioni. Già nelle ore precedenti questa ultima delibera governativa, diverse regioni si erano mosse autonomamente e, con un effetto a catena, avevano annunciato la riapertura a febbraio. Il caos e il disorientamento regnano sovrani, il governo appare sempre più incapace di gestire la situazione e la scuola, proprio quando viene abbandonata alla deriva, diviene terreno primario di uno straniante e improvvido conflitto politico-istituzionale: per il regolamento di conti tra le forze politiche di governo così come per l’affermazione nei fatti di una balcanizzazione del paese parallela al processo di rafforzamento dei poteri della conferenza stato-regioni.
Come se ciò non bastasse anche il mondo sindacale, attraverso raccolte di firme, tavoli di “concertazione” regionali e prese di posizione a livello nazionale, si è mosso compattamente per chiedere di bloccare nelle superiori la ripresa delle lezioni in presenza senza chiedere con forza provvedimenti essenziali che governo e regioni avrebbero già dovuto realizzare per tutelare la salute e la maggiore sicurezza possibile. Lo slogan “Scuole in sicurezza” non deve diventare un modo per dire “Scuole chiuse fino a quando non sarà garantita la piena sicurezza”. Fino a quando dunque?
Ancora una volta siamo di fronte a politiche di gestione dell’epidemia che contraddicono la presunta volontà politica del governo di riaprire le scuole. Nessun piano nazionale di gestione del monitoraggio scuola per scuola, della gestione dei tamponi, nessuna trasparenza sulla gestione prefettizia, nessun intervento strutturale sui trasporti, nessuna presenza del personale sanitario all’interno delle scuole, nemmeno una presa di posizione chiara sui piani vaccinali. E’ evidente che ciò che il governo dice non è in linea con ciò che fa, ma questo significa operare comunque una scelta chiara: mettere in cantiere la chiusura delle scuole come primo provvedimento da adottare di fronte alla crescita della curva dei contagi. Assumere il diritto all’istruzione come il primo dei diritti sacrificabili in nome della salute pubblica. Era così a settembre e così è tutt’ora. Sono appunto questa prevedibilità e questa coerenza degli effetti dell’azione-inazione di governo che ci impongono di insistere sulla riapertura delle scuole su tutto il territorio nazionale e chiedere al governo di mettere in atto tutte le misure che possano garantirlo.
La sicurezza al 100% in questo momento non esiste in nessun settore e in nessuna situazione; come lavoratori e lavoratrici della scuola ne siamo consapevoli. Le scuole superiori, inoltre, non sono un luogo più insicuro di tanti altri posti di lavoro aperti (lo conferma anche l’ultimo Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità), a partire dalle stesse scuole medie, scuole primarie e scuole dell’infanzia, e risulta difficilmente comprensibile perché sul piano della sicurezza alle medie si lavori in presenza e alle superiori no. Ma non possiamo esimerci dal chiedere che le misure essenziali che permettano di lavorare in modo dignitoso e continuativo in presenza siano garantite: perché altrimenti viene meno la garanzia del diritto allo studio e questo non possiamo permetterlo.
Il danno alla salute psicofisica che sta producendo la situazione della scuola investe tutti, ma colpisce in primo luogo le fasce sociali più deboli. Negli ultimi mesi è stato rilevato un alto tasso di abbandono scolastico e un tasso altrettanto preoccupante di studenti con difficoltà a livello psicologico. Per non parlare degli/delle studenti con disturbi o disabilità, che soffrono ancora di più dell’isolamento imposto dalla didattica a distanza.
Abbiamo visto in questi mesi le scuole chiuse e le vie dello shopping gremite, le stesse vie in cui ordinanze securitarie imponevano però il divieto di manifestazione. La scuola è un servizio pubblico essenziale: deve rimanere aperta e in presenza, perché non è accettabile che venga ancora sacrificata rispetto alla vita economica e della salvaguardia delle attività produttive. In questi mesi si è cercato di dare respiro ad altre attività produttive: ebbene ora la scuola è allo stremo e ha bisogno di essere messa al centro. Le misure del Governo, comprese quelle di contenimento del contagio, devono essere indirizzate a questo.
Gli interventi del governo e ancor più delle regioni non sono adeguati e per questo dobbiamo continuare a batterci: dobbiamo continuare a chiedere un sistema di tracciamento efficace, servizi sanitari nelle scuole che gestiscano in modo diretto i tamponi rapidi sul posto, la fornitura di mascherine FFP2, l’inserimento del personale scolastico nella fase 1 dell’agenda vaccinale; dobbiamo chiedere che i trasporti vengano realmente aumentati e che ci sia una vera distribuzione sul territorio calcolata sugli spostamenti e concordata con le scuole.
Tutto questo vogliamo farlo dai nostri luoghi di lavoro. Le nostre rivendicazioni vanno di pari passo con la richiesta chiara di riapertura di tutti gli ordini di scuola perché il problema della salute nella scuola deve riuscire a tenere insieme la dimensione lavorativa con quella sociale.