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Dal 1 dicembre in Aoup anche i laboratori della Microbiologia clinica sono aperti h24, 7 giorni su 7 (finora per le urgenze si lavorava in reperibilità). Uno sforzo organizzativo notevole condiviso fra il personale di Batteriologia, Virologia e Micologia, strutture già impegnate per la diagnosi di Covid-19. Questa estensione del servizio di fast microbiology in orario notturno fornirà ai colleghi in servizio in Pronto soccorso e nelle varie degenze indicazioni rapide per la diagnosi di sepsi e per l’uso appropriato degli antibiotici, altro tema cruciale visto che le multiresistenze batteriche possono vanificare qualunque sforzo terapeutico. E la sepsi resta sempre il nemico numero uno da combattere. Ne parliamo con la dottoressa Simona Barnini (foto), direttore della Sezione dipartimentale di Microbiologia batteriologica.
Dottoressa Barnini, ormai da quasi un anno si parla solo di Covid-19 e la sepsi sembra dimenticata, invece è sempre in agguato
“Certamente. E infatti vorrei riportare una frase molto efficace che rappresenta bene come il clinico debba sempre metterla in conto: ‘Sospetta che si tratti di sepsi, quando non ti sia già palese una diversa diagnosi. In un secondo tempo, se qualcosa del percorso diagnostico che hai avviato non ti convince, sospettala di nuovo’. Questa frase compare nel documento di indirizzo della Regione Toscana ‘Lotta alla Sepsi-Call to Action’, scritto e condiviso da tutti i componenti del gruppo tecnico ‘Lotta alla sepsi della Regione Toscana’ costituito nel 2017 e lascia bene intendere quanto sia subdola questa patologia, difficile da riconoscere ma estremamente grave e tempo-dipendente: ogni ora trascorsa senza iniziare le cure appropriate ne aumenta la mortalità del 7-8%”.
Ma che cos’è la sepsi?
“La definizione più recente è ‘una insufficienza degli organi che mette in pericolo la vita, generata da una disregolata risposta dell’ospite a un’infezione’. Possiamo dire che la sepsi è la più grave complicazione di una infezione in quanto comporta la disfunzione degli organi: sistema respiratorio, cardio-circolatorio, renale, etc…”.
Quanti casi si stimano?
“In Toscana si aggirano sui 15.000 l’anno; ma appunto parliamo di stime visto che, spesso, non viene riconosciuta e talvolta ne viene tralasciata la segnalazione. La mortalità è sopra il 20% per la sepsi, superiore al 40% per lo shock settico, che ne è l’evoluzione, e anche nei casi di guarigione si hanno frequenti recidive. I morti ogni anno, in Italia, sono almeno 60.000”.
Perché allora, pur essendo così grave, così frequente e così tempo-dipendente, non si conosce?
“Innanzitutto perché non è contagiosa. Anche se l’origine è infettiva, la sepsi non si propaga da un individuo all’altro ma si diffonde all’interno del singolo individuo: un’infezione che da localizzata diventa diffusa o che attiva difese immunitarie dell’ospite che rispondono in modo sregolato e violento, anziché protettivo, e danneggiano progressivamente gli organi vitali. La maggior parte degli eventi settici ha origine da infezioni cosiddette “di comunità”, per esempio la polmonite batterica o virale, e purtroppo, anche se più raramente, si origina anche da infezioni ospedaliere, troppo spesso provocate da microorganismi multi-resistenti agli antibiotici”.
Ma i casi di sepsi si verificano anche a casa…
“Certo, la sepsi dev’essere conosciuta da tutti gli operatori sanitari. Nel territorio giunge all’attenzione del medico di medicina generale e poi, nel suo aggravarsi, arriva all’attenzione dei medici dell’emergenza-urgenza al Pronto soccorso. Negli ultimi anni abbiamo capito che se la riconosciamo in tempo, ovunque si manifesti, possiamo salvare molte vite”.
Perché per curare tempestivamente la sepsi è necessaria una riorganizzazione delle microbiologie?
“Perché è necessario individuare il più presto possibile il microorganismo che causa l’infezione, nel giro di ore. Oggi le microbiologie sono dotate di tecnologie avanzate che permettono questa rapidità e allora è necessario che la microbiologia sia operativa h24 e 7 giorni su 7, perché l’infezione che si complica in sepsi e shock settico non conosce orario. E in questa partita della antimicrobial stewardship il microbiologo e il clinico lavorano insieme per curare il paziente critico con gli antibiotici più appropriati (classe, dosaggio, modalità di somministrazione) passando il prima possibile dalla terapia empirica a quella mirata. La Regione Toscana a questo proposito ha lavorato molto istituendo la rete delle microbiologie, promuovendo la condivisione dei dati (report annuali sulle resistenze batteriche sul sito dell’Ars) e istituendo gli Aid-team, squadre addette alla prevenzione, controllo e sorveglianza delle infezioni negli ospedali e nel territorio, di cui il microbiologo clinico è parte integrante. In Aoup vi partecipano Direzione medica di presidio, Malattie infettive, Farmacia, Igiene ed epidemiologia, Microbiologia, Medicina del lavoro e professionisti del dipartimento di Anestesia e rianimazione. Tutto questo per dire che l’attenzione del governo sanitario regionale in termini di risorse umane e tecnologiche a questa coraggiosa iniziativa della Microbiologia dell’Aoup, supportata dalla Direzione aziendale, potrà favorire anche lo sviluppo di un importante settore di ricerca clinica, formazione e insegnamento utile per migliorare la qualità e la sicurezza delle cure”