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L’unione di due mondi in apparenza lontani, come la genomica e le conoscenze dei coltivatori di sussistenza, sono la chiave per arrivare a colture più resilienti, più efficienti e più nutritive, capaci di rispondere alle sfide dei cambiamenti climatici. Lo sostengono scienziati dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e di centri di ricerca internazionali, in un contributo appena pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Plant Science”, per sottolineare la necessità di esplorare approcci innovativi per ottenere un più rapido ed efficace miglioramento delle colture. L’uso di questi metodi condivisi e partecipativi, chiamati di “crowd-sourcing”, può aumentare l’adattamento delle colture e al contempo la probabilità che nuove varietà più produttive vengano adottate e utilizzate su larga scala nel sud del mondo.
“Combinare la genomica con approcci che coinvolgano le comunità di coltivatori di sussistenza è la chiave per un’agricoltura più sostenibile”, sottolinea Matteo Dell’Acqua, co-autore dello studio e genetista all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Il miglioramento genetico tradizionale e i metodi ‘crowd-sourcing’ non sono in antitesi, ma anzi si completano l’uno l’altro nel valorizzare la diversità delle colture locali”. Carlo Fadda, co-autore presso l’Alleanza Bioversity e il Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale, un centro di ricerca internazionale con sede a Maccarese (Roma), aggiunge: “Il miglioramento genetico moderno è altamente tecnologico e permette di sviluppare varietà ad alta resa. Ma queste varietà sono poi davvero coltivate dagli agricoltori del sud del mondo? Quali sono le caratteristiche più importanti delle colture per loro? Quali sono le caratteristiche di adattabilità che cercano?”. Un nuovo approccio al miglioramento genetico che parta dal basso, e quindi dai coltivatori per i quali le varietà vengono prodotte, produrrebbe nuove varietà più desiderabili e più efficienti, appetibili anche da coloro che, nei paesi del sud del mondo, si dedicano a un’agricoltura di sussistenza.
Nello studio pubblicato su “Frontiers in Plant Science” gli autori descrivono un approccio che ha già portato a risultati sorprendenti per il grano coltivato in Etiopia. Quando i ricercatori hanno confrontato la resa di varietà moderne a confronto con le verità tradizionali, coltivate dagli agricoltori locali, si sono accorti del maggiore rendimento e di un maggiore apprezzamento di queste ultime. Non soltanto risultavano più adatte, ma erano anche più resistenti alle principali malattie che funestano le coltivazioni locali, in Etiopia.
Questo approccio è stato definito “Seeds4Needs” (traducibile in “I semi giusti per ogni necessità”), e trae la sua forza dall’integrazione del rigore scientifico nelle metodiche di miglioramento genetico con l’ascolto delle necessità dei coltivatori locali, in Etiopia. Il risultato è un’accelerata produzione di nuove varietà che siano più capaci di supportare la sicurezza alimentare con benefici alla sostenibilità delle coltivazioni. In Etiopia, due nuove varietà di grano sviluppate con questo metodo sono state rilasciate con quattro anni di anticipo rispetto a quanto si sarebbe ottenuto con i sistemi di miglioramento genetico comunemente utilizzati.
“Il cambiamento climatico è un bersaglio mobile – conclude Carlo Fadda – e, per affrontarlo, abbiamo bisogno di un processo dinamico. Il nostro approccio fornisce un costante approvvigionamento di diversità e di nuovi caratteri di adattabilità alla base dello sviluppo varietale. In questo modo, con il deteriorarsi della crisi climatica, ci sarà più facile sviluppare varietà adattate alle condizioni locali che uniscano la tecnologia più avanzata alla conoscenza tradizionale”.