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“La Notte Prima degli Esami” è la notte in cui non dormi perché il giorno dopo la tua vita cambierà. È quello stress ansioso che ti divora tutto dentro che vorresti che passasse subito e allo stesso tempo non vorresti finisse mai.
Ci sono tante notti prima degli esami nella vita, la più significativa resterà sempre quella che precede la prima prova dell’esame di maturità, le altre le scegli tu in base alla scala di valori che ti sei fatto nella vita.
Per me e il mio amico Andrea “La Notte Prima degli Esami” è diventata consuetudine quella notte che precede una partita importante del Pisa, che in questi ultimi anni coincide sempre con la vigilia delle gare di play off per l’accesso alla Serie B.
Ogni vigilia scambiamo sempre qualche chiacchiera sulla partita, tanto entrambi non riusciamo a dormire, e finiamo per ascoltare come rito la canzone di Venditti, abitudine ormai consolidata tra i maturandi italiani da qualche decennio a questa parte.
Quest’anno per la finalissima di Trieste abbiamo deciso di proseguire questo nostro cammino assieme anche nell’organizzazione della trasferta.
Alle 8,30 di mattina siamo già in viaggio. Già, Trieste è lontana, ma non è quello a smuoverci così presto; lo stress notturno da esami si smaltisce meglio se passato in compagnia. Assieme a noi ci sono anche gli amici Marco e Antonio; tutti un po’ assonnati, nessuno ha dormito più di tre – quattro ore, ma l’esaltazione per la finale ci tiene ben svegli.
Il viaggio in questi casi prosegue sempre con il solito canovaccio: si discute sulle partite precedenti, si analizza il cammino del campionato, si scambiano due risate su alcuni episodi e si pronosticano formazioni per la gara in corso.
E poi la mente riaffiora i ricordi:
«Andre’, ma ti ricordi l’ultima trasferta che ci siamo fatti assieme? Secondo me fu Bari. Anche in quell’occasione partimmo abbastanza presto, ma poi per colpa dell’incidente occorso all’autobus a pochi km dallo stadio ci toccò entrare solo cinque minuti prima della gara!»
«Già, fu proprio quella. Però dai, portò bene: alla fine si vinse!».
E così tra un ricordo ed un altro lo stress pre-gara si annichilisce e l’autostrada ci porta già all’uscita per Imola.
«Se si doveva giocare con l’Imolese come successo al Piacenza nel turno precedente s’era già arrivati» ricorda Marco.
Ma cosa c’entra Imola con la strada per Trieste?
Le chiacchiere hanno annichilito noi oltre lo stress e non ci siamo accorti che abbiamo saltato un’uscita autostradale.
Venti km di troppo verso Est, quando dovevamo farli verso Nord. Poco male, siamo partiti con così tanto anticipo che dovremmo comunque arrivare in tempo, non solo per la gara, ma anche per pranzare con calma.
Ma Andrea alla guida non la pensa così. E mentre gli Iron Maiden in sottofondo chiedono di “giocarsela con la pazzia“, lui follemente impugna il volante e sgassa a più non posso.
Ripresa la strada principale io e Antonio sul sedile posteriore ne approfittiamo per chiudere un po’ gli occhi e recuperare qualche minuto di sonno perduto durante la notte.
Il riposo dura poco però. Andrea ci avverte che dobbiamo fermarci ad un distributore perché c’è una spia dell’auto accesa.
Subito partono le ricerche su google per fare la diagnosi, come spesso succede quando si ha un malanno fisico. E come per i malanni fisici per cui google mi ha già dato per morto almeno 23 volte negli ultimi 3 anni, anche l’auto sembra non passarsela bene.
Il distributore non può farci molto, ma ci da il contatto di un’officina a Padova, a soli 10 km da dove siamo, che è aperta anche la domenica.
«In tutta Italia ci saranno tre officine aperte la domenica, siamo stati fortunati!» sentenzia Antonio.
Ma la fortuna finirà lì.
Per controllare l’auto in officina hanno bisogno di un’oretta, ci suggeriscono di andare a mangiare vista l’ora, ci avviseranno loro telefonicamente.
La fame è tanta per il viaggio, lo stomaco chiuso per l’ansia. Forse è una cosa da poco e in breve si riparte, forse non è così e bisogna vagliare un’alternativa.
E mentre mandiamo giù un boccone di carne, che alla fine ci costerà più caro del pieno di benzina, si vagliano le ipotesi. Trovare posto in auto di altri pisani che stanno salendo a Trieste è impossibile, siamo in quattro e nessuno ha tutti questi posti a disposizione. I noleggi auto in zona son tutti chiusi la domenica, tranne uno che ci dice che potremmo trovare un furgoncino ….ma nella loro sede di Venezia.
Arriva la telefonata che non volevamo ricevere: il problema meccanico non è da poco, ha bisogno di almeno tre giorni di lavoro. E ora, come si fa?
Corriamo indietro in officina, lasciando sui piatti buona parte di quella carne costosissima e mendichiamo un’auto di cortesia. La chiediamo più volte, nonostante ci dica che non ne hanno a disposizione. Magari comprende il nostro dolore, il nostro bisogno, la nostra passione e qualche lavoratore dell’officina ci presta l’auto personale. Ma non riusciamo a fare abbastanza pena a nessuno e la situazione non si sblocca.
Sono le 14 e 30 e tutti ci suggeriscono un’unica soluzione: prendere un treno.
La stazione si trova a 9 km dalla nostra postazione e l’unico treno che può portarci in orario a Trieste parte alle 15 e 21.
Alle 14 e 45 l’autobus non passa. Ci guardiamo affranti, rassegnati. Ma non del tutto abbattuti. Facciamo la spola tra gli orari attaccati alla fermata e la panchina ad un minimo di ombra, guardando le altre signore in attesa.
L’autobus DEVE passare, è in ritardo, ma passerà.
«State tranquilli che ora passa.» ci rassicurano alcune signore con accento dell’est europeo.
Ma ora quando? Ormai lo prenderemo, ne siamo certi. Ma alla stazione l’unica alternativa che ci resta è quella di prendere un treno per la Toscana e cercare di guardare la partita tramite cellulare. Grazie alle moderne tecnologie possiamo farlo, ma non è la stessa cosa.
«Visto? Ve l’avevamo detto che arrivava.»
Sono le 15 e 09 minuti; c’è abbastanza forbice di tempo per il treno “giusto”?
Saliamo in fretta, diretti verso l’autista, ma non per fare il biglietto come stavamo pensando. Un po’ intimoriti, ma con speranza chiediamo:
«Scusi, quanto tempo ci vuole per arrivare in stazione?»
«In sette – otto minuti massimo ci siamo.»
Un filo di rasoio, un filo di speranza; un tempo che a bordo di quell’autobus senza aria condizionata non passa più.
Sono le 15 e 18, le porte dell’autobus si spalancano sulla piazza della stazione. Corriamo con la foga di Lisi sulla fascia, schivando ostacoli umani e non e riusciamo ad entrare nell’atrio.
«In quale binario è?»
«Fermiamoci alla biglietteria!»
«Ma quali biglietti; corriamo di corsa al binario.»
Il treno è lì, è fatta.
A Trieste, salvo altri ostacoli arriveremo.
Il biglietto del treno lo faremo alla coincidenza a Venezia.
Un minimo i “portoghesi” senza controllori ce lo siamo potuti permettere oggi, tra autobus e primo treno. Tanto il destino ci ha già preso diversi soldi da altre parti oggi.
Sul treno cerchiamo di giocare d’anticipo e iniziamo a chiamare il servizio taxi già quaranta minuti prima dell’arrivo.
Niente, non rispondono.
Proviamo e riproviamo, ma ci lasciano sempre in attesa.
Altra corsa. Stavolta dal binario alla postazione taxi. La nostra foga nel cercarlo ci fa prendere le offese da una signora di mezza età che già inveiva contro altri che a suo dire l’avevano sorpassata. Ma loro si son giustificati dicendo di averlo prenotato per telefono – a loro han risposto, a loro …- tranquillizziamo la signora che il prossimo sarà il suo.
Non le basta. Inveisce lo stesso contro noi e contro il tassista che arriva giustificandosi perché «…scusi, ma oggi gioca la Triestina.»
«Ci mancava pure la Triestina. Chissene frega!!!»
Quasi son pentito di averle lasciato la precedenza visto il suo carattere, ma ha ragione lei: chissene frega della Triestina, questa è la nostra giornata, la Triestina deve essere solo l’antagonista.
L’orologio sembra correre a velocità doppia rispetto a quando eravamo sull’autobus a Padova, ma finalmente arriva il nostro taxi.
Lo stadio non è vicinissimo – almeno non da poterla fare a piedi come ci eravamo illusi durante l’attesa per il taxi – ma nemmeno lontano.
Alle 18 e 20 siamo sotto la tribuna, dove entrano gli altri miei compagni di disavventure.
Ed io che faccio? Posso andare a piedi da qua verso il settore ospiti?
«Ma sì, basta che non parli. Fai l’accento romanesco piuttosto.»
Simpatico lo stewart.
Mi ritrovo nella via che porta al settore ospiti rimembrando la scena iniziale di Vanilla Sky dove il protagonista David Aames, interpretato da Tom Cruise, corre come un pazzo in cerca di anima viva, senza trovare nessuno.
Qualcuno però lo trovo: stewart e forze dell’ordine che mi guardano con sospetto.
Cosa ci fa uno come me lì a quell’ora?
Certo che ho il biglietto, guardate anche il documento e via libera dal prefiltraggio.
Corsa verso il cancello, tornello completamente vuoto e ancora stewart.
Mi controllano ogni cosa nello zainetto pieno di panini e bevande – che in una trasferta normale avrei lasciato in macchina – e mi lasciano entrare con una pacca sulla spalla.
Salgo i gradoni, sono le 18 e 27.
Le squadre stanno per entrare in campo, la partita non è ancora iniziata.
Ma come finirà lo so già, ne ho avuto un sentore alla stazione di Padova, al binario 5, alle 3 e (2)1.