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Per la prima volta nella sua storia il Teatro di Pisa porta in scena La Vestale di Gaspare Spontini. Opera di rara esecuzione, dopo il revival conosciuto grazie alla memorabile interpretazione scaligera di Maria Callas e Franco Corelli, nel 1954, con la regia di Luchino Visconti, La Vestale è considerata una delle opere più significative di Spontini per la possente ispirazione drammatica, la finezza della parte strumentale, la stretta aderenza tra valori musicali, psicologia dei personaggi e azione scenica.
Esito di una coproduzione del Teatro di Pisa con quelli di Jesi, Ravenna e Piacenza per celebrare i 250 anni della nascita di Gaspare Spontini, questo titolo, il quarto della stagione operistica del Verdi, sarà in scena venerdì 14 febbraio (ore 20.30) e domenica 16 (ore 15.30). La Guida all’Opera, il tradizionale momento offerto al pubblico per conoscere e approfondire l’opera in programma, si terrà nel Ridotto giovedì 13 alle 18 e sarà condotta dal Maestro Marco Tutino, direttore artistico della Fondazione Teatro di Pisa.
La direzione musicale è affidata ad Alessandro Benigni, regia, scene e costumi portano la firma di Gianluca Falaschi, le coreografie di Luca Silvestrini; light designer è Emanuele Agliati. Esegue l’Orchestra La Corelli, il Coro è del Teatro Municipale di Piacenza.
Protagonista nel ruolo di Julia, la giovane vestale innamorata, è Carmela Remigio, affiancata dal baritono Bruno Taddia nel ruolo del generale Licinius. Joseph Dahdah canta Cinna, Daniela Pini è la Grande Vestale, Adriano Gramigni interpreta il Gran Pontefice, con Massimo Pagano nella doppia veste di capo degli Aruspici e di console.
Compositore di imperatori e re, a Parigi con Napoleone e a Berlino con Federico Guglielmo III di Prussia, Gaspare Spontini musica La Vestale sul libretto di Victor-Joseph-Étienne de Jouy. Tragedia lirica in tre atti, va in scena per la prima volta il 15 dicembre 1807 all’Académie impériale de Musique di Parigi e sarà accolta da un successo tanto clamoroso da essere replicata per altre duecento volte. Sul palco del Verdi andrà in scena la versione originale in lingua francese con revisione sull’autografo della Scuola di Filologia dell’Accademia di Osimo a cura di Federico Agostinelli e Gabriele Gravagna per Edizioni Ricordi, Milano, in collaborazione con Centro Studi Spontini di Maiolati. Nuova la produzione, che unisce Fondazione Pergolesi Spontini (capofila), Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Verdi di Pisa e Fondazione Ravenna Manifestazioni.
Ambientata nella Roma del 69 a.C., La Vestale di Gaspare Spontini presenta l’amore proibito tra la Vestale Julia e il generale Licinio. Ella, colpevole di aver lasciato spegnere il fuoco sacro mentre dichiarava il suo amore al generale è condannata dalla legge sacra a essere sepolta viva. L’esecuzione viene tuttavia interrotta dall’intervento divino, che riaccende il fuoco sacro e rende libera Julia di amare Licinio.
Nella lettura di Gianluca Falaschi, la figura della Vestale richiama un momento chiave della storia dello spettacolo italiano: l’incontro tra il regista Luchino Visconti e Maria Callas, nel 1954, sul palcoscenico della Scala. “In questa messa in scena – spiega il regista, costumista e scenografo – il parallelismo tra Giulia, protagonista de La Vestale, e la Callas, è inevitabile. Entrambe sono donne sotto pressione costante, schiacciate dalle aspettative della società e dal peso della propria leggenda personale. La vita della Callas, segnata dal sacrificio della propria identità in nome dell’arte, riflette perfettamente il destino di Giulia, costretta a rinunciare ai propri desideri per preservare la purezza del proprio ruolo sacro. Come Maria Callas, Giulia è una figura osservata, giudicata e spinta verso una perfezione insostenibile, un peso che, alla fine, si rivela schiacciante”.
“Tutte le figure intorno a Giulia – prosegue – sono fondamentali per chiarire la sua posizione, tenendo conto che in questa messa in scena sono tutte proiezioni della mente di un’artista nell’atto di spogliarsi delle sacre vesti di Divina per abbracciare, o almeno tentare di abbracciare, gli abiti terreni della donna innamorata. Alla fine, rimarrà solo l’abito, il simbolo vuoto della diva divorata dal palcoscenico, dal pubblico, e dal teatro stesso, perdendo per sempre la propria identità personale”.
In copertina foto di Stefano Binci