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80360,2 Megaelettronvolt, è questa la massa del bosone W, una misura determinata con una precisione mai raggiunta prima da un team di scienziati e scienziate al lavoro nei laboratori del CERN di Ginevra. La misura è stata realizzata analizzando i dati prodotti nelle collisioni protone-protone nell’acceleratore Large Hadron Collider (LHC) grazie al Compact Muon Solenoid (CMS), una sorta di gigantesca fotocamera ad alta velocità, che scatta “fotografie” 3D di collisioni di particelle da tutte le direzioni fino a 40 milioni di volte al secondo.
“Questa misura è il risultato di molti anni di lavoro capillare durante il quale abbiamo affrontato e risolto numerose problematiche sperimentali”, spiega Lorenzo Bianchini, professore di Fisica all’Università di Pisa, associato all’INFN e coordinatore del progetto ERC ASYMOW dedicato proprio a questa misura.
“Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza accumulata – ha aggiunto Binchini – e ne è uscita una misura moderna e innovativa sotto molti punti di vista, frutto di un lavoro di collaborazione internazionale in cui il contributo italiano è risultato estremamente importante, anche grazie alle opportunità offerte dai finanziamenti europei alla ricerca”.
Il risultato della misura è molto rilevante per la comunità scientifica, non solo per la sua capacità di confermare con precisione più elevata le predizioni del Modello Standard, la teoria che da più di mezzo secolo usiamo per spiegare le interazioni tra le particelle elementari, ma soprattutto perché rappresenta un importante passo in avanti per risolvere un puzzle nato nel 2022, quando un altro esperimento al collider Tevatron presso il Fermi National Accelerator Laboratory (Stati Uniti) ha invece ottenuto una misura della massa del Bosone W con analoga precisione, ma in netto disaccordo col Modello Standard.
Dalla sua scoperta, il bosone W è stato misurato con sempre maggiore precisione da diversi esperimenti, al CERN e in altri laboratori. Assieme al bosone Z, il bosone W è la particella elementare mediatrice della forza debole ed è stato osservato per la prima volta nel 1983 nei laboratori del CERN da Carlo Rubbia, laureato all’Università di Pisa come allievo della Scuola Normale, e Simon van deer Meer, che per questo furono insigniti del premio Nobel per la Fisica l’anno successivo.