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Il 20 febbraio scorso l’acceleratore SuperKEKB del laboratorio KEK di Tsukuba, in Giappone, ha registrato la prima collisione elettrone-positrone nell’ambito della nuova campagna di raccolta dati “Run 2”.
Continua così l’esperimento Belle II in corso dal 2019 per studiare le proprietà della materia a livello microscopico attraverso le collisioni elettrone-positrone, un fenomeno che genera principalmente mesoni B, ma anche mesoni con charm e leptoni tau. Obiettivo generale degli scienziati è quello di trovare il cosiddetto “cigno nero”, ovvero anomalie (come ad esempio nuove particelle e nuovi fenomeni fisici) rispetto al Modello Standard che definisce la fisica così come la conosciamo oggi.
La nuova fase di raccolta dati è partita il 29 gennaio dopo un anno e mezzo di lavori di potenziamento e manutenzione per permettere all’acceleratore di raggiungere luminosità sempre più elevate, e all’esperimento di ricostruire con maggiore precisione ed efficienza gli eventi prodotti.
Il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa partecipa a Belle II insieme all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) con un gruppo di circa 70 ricercatori e ricercatrici di che fanno parte di otto strutture: i Laboratori Nazionali di Frascati, e le Sezioni di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Roma Tre, Torino e Trieste.
“L’intervento di maggiore rilevanza che ha riguardato Belle II è stata l’installazione di un nuovo rivelatore di tracce nello strato più interno dell’esperimento, e quindi più vicino al punto di interazione fra elettroni e positroni: si tratta di un rivelatore a pixel di silicio che, insieme al rivelatore a strip di silicio Silicon Vertex Detector (SVD) che lo circonda, permette di misurare con altissima precisione il punto di passaggio delle particelle cariche”, spiega Giuliana Rizzo, ricercatrice all’INFN e professoressa all’Università di Pisa, project leader del Silicon Vertex Detector.
“L’intervento ha richiesto il completo smontaggio e rimontaggio del rivelatore SVD, costruito e gestito grazie a un importante contributo italiano, e ha compreso anche l’installazione di un nuovo tubo a vuoto intorno al punto di interazione, e il potenziamento delle schermature del rivelatore dal ‘fondo’ di radiazione prodotto dall’acceleratore in misura maggiore all’aumentare della luminosità. Tutte queste operazioni sono state completate con successo nei tempi stabiliti, permettendo di testare la piena funzionalità del rivelatore con i raggi cosmici e il ripristino delle performance precedenti l’intervento”, conclude Rizzo.