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Ateneo in lutto per la scomparsa della professoressa Maria Antonella Galanti


Ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale, la ricorda il collega e amico Alfonso Maurizio Iacono. Dopo una breve e implacabile malattia è venuta a mancare giovedì 24 giugno la professoressa Maria Antonella Galanti, ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale al Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere e da alcuni mesi responsabile scientifica del Polo Musicale del nuovo Centro per l’Innovazione e la Diffusione della Cultura (CIDIC) dell’Università di Pisa.

Venerdì 25 giugno dalle ore 9.30 alle ore 19 sarà aperta la camera ardente nell’Aula Magna Storica del Palazzo della Sapienza e nella stessa sede alle 17 si terrà la commemorazione con la partecipazione del Coro dell’Ateneo.

Nata a Volterra il 28 luglio 1954, Maria Antonella Galanti nel corso della carriera è stata responsabile del Centro di Ateneo per la diffusione della pratica e della cultura musicale, prorettrice ai Rapporti con il territorio tra 2010 e 2016 e vice direttrice del dipartimento di Filosofia tra 2004 e 2010.

Nell’ambito della ricerca, la professoressa Galanti si è occupata di educazione permanente, dei comportamenti disadattivi (compresi quelli legati alla patologia psichica), nonché della conflittualità relazionale e sociale e delle problematiche di genere. Nel territorio toscano ha coordinato dal punto di vista scientifico numerose esperienze di sensibilizzazione e formazione alla cittadinanza attiva in relazione anche alle tematiche della differenza e dell’integrazione.

Personalità molto nota a Pisa per il suo impegno in vari campi della cultura e per la sensibilità verso i temi civili e le questioni cittadine, la professoressa Galanti cantava da diversi anni nel Coro dell’Università di Pisa.

Qui di seguito inviamo un ricordo della professoressa Galanti scritto dal collega e amico Alfonso Maurizio Iacono.


Antonella era una donna tosta, tostissima. La conoscevo dai tempi dell’università, ma soprattutto quando la militanza attiva, politica e civile, permeava la nostra vita e ci buttavamo in quello che potrei definire uno sperimentalismo sociale e che segnò l’epoca iniziata con il ’68.

Ci ritrovammo a Pisa nel Manifesto, il gruppo politico di Rossana Rossanda, Lucio Magri, Luigi Pintor, Luciana Castellina e Valentino Parlato, gruppo che poi fondò il giornale. Antonella veniva da Volterra e si gettò con coraggio e generosità nelle forme di convivenza politica, personale e sociale che allora erano considerate anticonformiste e di rottura.

In un’epoca ancora, tutto sommato, parruccona e conformista, Antonella amava stare dalla parte del torto. Femminista, lottava con e per le donne a tutti i livelli. L’intreccio tra ideali, politica, cultura, sapere scientifico era per lei come una seconda natura che continuò anche dopo e che si tradusse suo modo di vivere l’accademia. Una comunità quella universitaria dove inevitabilmente la ricerca, la didattica, l’impegno istituzionale spesso si intersecano con i rapporti personali, le amicizie e le inimicizie, dove le passioni individuali e istituzionali talvolta si confondono.

Antonella interpretò quel tipo di vita in continuità con l’esperienza degli anni ’70, anche se in un contesto ormai mutato. Non aveva dubbi sul fatto che livello personale e livelli istituzionali, privato e pubblico, per quanto necessariamente separati – e così dovevano e debbono essere – non fossero tuttavia due mondi alieni. È per questo che Antonella prendeva impegni e cariche istituzionali mettendoci dentro il suo entusiasmo e il suo impegno.

È stata prorettrice al territorio, vice direttrice del Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere, ma il punto culminante non fu una carica accademica classica, né il posto di professore ordinario che pure la appagò, fu – lei appassionata da sempre di musica e appartenente a una famiglia di musicisti – l’entrata nel Coro dell’Università, di cui poi divenne responsabile. Non avevo mai visto Antonella così felice. Il coro, la musica, al di là del fatto accademico, erano quella comunità in cui aveva trovato l’intreccio tra sapere, cultura, umanità che aveva cercato e già trovato all’epoca della nostra militanza negli anni ’70. Ora però con più maturità, con più leggerezza, con una felicità che finalmente poteva esprimere in un mondo che aveva conquistato e da cui si sentiva accolta.

Gli intrecci dei rapporti personali con la ricerca scientifica, tra Antonella e me, sono stati talmente tanti e talmente forti che è difficile spiegarli ora. Come era forte in lei il senso della comunità, altrettanto lo era quello del fare insieme. E questo con una potente forza individuale che non si è mai tradotta in individualismo. I temi dell’apprendimento e dell’autonomia ci hanno da sempre attraversato. Le aule in cui insegnava erano stracolme. Non si è mai tirata indietro. Ma soprattutto per me Antonella era più che un’amica, non solo per le tante esperienze fatte insieme, ma anche perché nei momenti difficili della nostra vita ci ritrovavamo e ci sostenevamo sempre. Io c’ero sempre per lei, lei c’era sempre per me. Non solo tuttavia nei momenti difficili, anche in quelli felici. Presente anche adesso, mentre sto scrivendo, anche se so di non potere colmare il vuoto della sua assenza.

Alfonso Maurizio Iacono