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Lo sbadiglio contagioso, come segno di empatia e legame sociale, non riguarda solo gli adulti ma è già presente nei bambini sin da due anni e mezzo. La notizia arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Developmental Psychobiology coordinata da tre etologhe dell’Università di Pisa, le dottoresse Giada Cordoni ed Eleonora Favilli del Museo di Storia Naturale di Calci e la professoressa Elisabetta Palagi del Dipartimento di Biologia.
La ricerca, frutto di un progetto di etologia umana più ampio intitolato “Ontogenesi del comportamento sociale, di gioco ed empatico nell’uomo: osservazioni etologiche su bambini in età pre-scolare”, è stata condotta presso la scuola dell’infanzia “Florinda” dell’Istituto comprensivo Centro-Migliarina-Motto di Viareggio (Lucca). Qui sono stati raccolti i video sui bambini dai due anni e mezzo ai cinque anni e mezzo durante lo svolgimento delle loro normali attività scolastiche e in presenza di insegnanti e compagni di classe.
“Grazie a un’accurata analisi dei video fotogramma per fotogramma – racconta Giada Cordoni – abbiamo dimostrato come il contagio di sbadiglio, cioè la replicazione involontaria della sequenza motoria indotta dalla visione o dall’ascolto di uno sbadiglio emesso da un compagno, si presenti durante lo sviluppo del comportamento sociale ed empatico dell’uomo prima di quanto dimostrato fino ad ora, già a partire dai 2 anni e mezzo di età”.
Secondo la letteratura scientifica il contagio di sbadiglio è una manifestazione di contagio emotivo, un processo che si colloca al livello base dell’empatia. Quest’ultima è un fenomeno a più livelli di complessità che, in generale, sottintende la capacità di percepire e condividere gli stati emotivi altrui. La presenza del contagio di sbadiglio in bambini così piccoli mostra quanto sia precoce la capacità di condividere azioni e stati emotivi e di instaurare legami sociali con i membri del loro gruppo.
“Questo lavoro sottolinea come l’approccio etologico applicato all’uomo, in questo caso ai bambini, nel suo contesto naturale possa far emergere informazioni altrimenti di difficile determinazione in contesti sperimentali che spesso prevedono l’uso di tecniche di isolamento sociale e somministrazione di stimoli artificiali – conclude Elisabetta Palagi – Osservare quindi l’uomo in modo più “ecologico” può rappresentare la chiave vincente per svelare molti dei misteri che avvolgono il nostro comportamento”.