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Buon Anno Pisa!
Si festeggia oggi il Capodanno Pisano perchè, come tradizione la nostra Gloriosa città entrerà nel nuovo anno seguendo l’Annunciazione alla Beata Vergine Maria che faceva iniziare l’anno con l’incarnazione di Gesù il 25 Marzo, nove mesi prima della sua nascita il 25. Anche il Pisa Sporting Club si unisce agli Auguri di Buon Anno a tutta la città e a tutte le persone che hanno Pisa e i Pisani nel cuore.
Questa la storia del nostro Capodanno riassunta per noi dall’Associazione “Amici di Pisa” che ringraziamo per il contributo.
Complesso è stato, nel corso dei secoli, il modo i computare il tempo. I Romani facevano iniziare l’anno con le Calende di marzo, cioè il primo giorno del mese. Uno dei consoli eletti per il 153 a.C., Quinto Fulvio Nobiliare, dovendo intervenire rapidamente nella Penisola Iberica, anticipò l’entrata in ufficio alle Calende di gennaio, il 1 del mese, e tale data rimase come inizio dell’anno. Nel 46 a.C. Giulio Cesare, con l’aiuto dell’astronomo Sosigene di Alessandria, stabilì la durata dell’anno in 365 giorni e 6 ore circa, ma poiché l’anno non può essere frazionario ogni quattro anni fu raddoppiato il 24 febbraio, bis sextus ante Kalendas Martias, da cui il termine bisestile.
Nel mondo romano gli anni erano indicati con i nomi dei due consoli eletti annualmente. L’uso continuò in Occidente anche dopo la fine ufficiale dell’impero d’Occidente (476) e giunse sino alla metà del VI secolo. Per un certo tempo si adottò la formula post consulatum anno primo, secundo etc. finché il 1 gennaio 566 l’imperatore di Costantinopoli Giustino II assunse la dignità consolare: gli anni furono allora indicati con la formula post consulatum dopo il primo anno d’impero. Tale uso continuò nei secoli VII e VIII nelle regioni italiane soggette all’impero bizantino, tra cui Roma: qui solo nel 781 il papa Adriano I adottò l’anno del pontificato, calcolato dal giorno della consacrazione.
Nei regni romano-barbarici, formatisi in seguito alla dissoluzione dell’impero d’Occidente, la tradizione romana rimase a lungo ma alla formula post consulatum si unì ben presto l’anno di regno dei sovrani. Così avvenne anche a Pisa: dapprima inserita nell’impero di Costantinopoli, entrata a far parte del regno longobardo nei primi decenni del VII secolo, adottò il sistema di datazione dei Longobardi, l’anno di regno del sovrano, continuato con i successivi sovrani Carolingi e re d’Italia finché, all’inizio del X secolo, vediamo apparire l’era di Cristo, in un documento del 28 agosto 909 conservato nell’Archivio Arcivescovile della nostra città.
L’era di Cristo era stata calcolata a Roma nel 525 dal monaco siriano Dionigi il Piccolo, che fissò la nascita di Gesù al 25 dicembre dell’anno 753 dalla fondazione di Roma, per cui l’anno 1 della nostra era corrisponde al 754 (non esiste l’anno 0!). L’era di Cristo, introdotta in Inghilterra almeno alla metà del VII secolo e portata in Gallia dai missionari insulari nel secolo successivo, era utilizzata in particolare nelle fonti narrative.
Dopo la definitiva dissoluzione dell’impero carolingio con la deposizione di Carlo III il Grosso nell’887, in un periodo particolarmente turbolento e politicamente incerto, nell’avvicendarsi di vari sovrani e nei contrasti tra i diversi pretendenti al trono, si cominciò a ricorrere all’era di Cristo allorché non si accettava un certo sovrano oppure non si voleva prendere una posizione precisa tra i diversi contendenti. A Pisa l’uso degli anni d’impero scomparve definitivamente alla morte di Enrico III nel 1056.
A questo punto, nella nostra città, come del resto in buona parte della Cristianità medievale, si adoperò lo stile ab Incarnatione o dell’Annunciazione, che faceva iniziare l’anno con l’Incarnazione di Gesù, il 25 marzo, nove mesi prima della nascita il 25 dicembre. Solo in età moderna, dal XVI secolo, si affermò in Europa lo stile ora in uso, detto della Circoncisione con inizio al I gennaio con riferimento alla circoncisione di Gesù, avvenuta otto giorni dopo la nascita. Esso è sempre stato considerato l’inizio dell’anno astronomico: anche a Pisa al 1 gennaio entravano in ufficio le magistrature comunali. Raro fu nel Medioevo lo stile della Natività dal 25 dicembre.
Nella nostra città si affermò l’uso di far cominciare l’anno il 25 marzo in anticipo di nove mesi sul calcolo comune, un’abitudine non esclusivamente pisana, ma presente anche altrove. Per la scarsezza di documenti sopravvissuti non è facile dire quando ciò avvenne: il primo atto a noi pervenuto risale al 23 maggio 985. A Pisa e nel territorio ad essa soggetto il calcolo detto pisano si affermò praticamente incontrastato e durò fino a che, con decreto del 20 novembre 1749 applicato dal I gennaio 1750, la reggenza lorenese, imbevuta di spirito illuministico, decise di uniformare i diversi sistemi di datazione in uso nel Granducato, adottando lo stile della Circoncisione o comune.
Per il Capodanno Pisano non si facevano feste particolari come siamo oggi abituati a vedere. L’Annunciazione, come le altre tre feste della Vergine, era celebrata con una liturgia particolarmente solenne, quello sì, ma senza alcun riferimento all’inizio dell’anno, sì che questo giorno non sembra essere stato percepito come il Capodanno.
Negli anni Ottanta del Novecento si tornò a parlare del Capodanno pisano, grazie ad un gruppo di appassionati di storia pisana (Paolo Gianfaldoni, Umberto Moschini, Alberto Zampieri e Pierangelo Matteoni) e da allora atteso e festeggiato con numerose iniziative culturali ed anche conviviali con piatti tipici e storici nei ristoranti della città.
Le modalità contemporanee sono diverse dal Medioevo, allorché il giorno cominciava al tramonto del precedente, si fa scandire l’inizio dell’anno pisano con il raggio di sole che a mezzogiorno del 25 marzo da una finestra rotonda della navata centrale lato sud della Cattedrale e colpisce sul lato opposto una mensola sul pilastro accanto al pergamo di Giovanni Pisano. L’evento è solitamente preceduto da un corteo storico per le vie della città e che confluisce in Cattedrale con una breve ma affollata cerimonia religiosa che termina alle 12.00 esatte con la frase rituale “A maggior gloria di Dio ed invocando l’intercessione della beata Vergine Maria e di San Ranieri nostro patrono, salutiamo l’anno… “.
La mensola sostiene a sua volta un uovo in pietra, segno di fecondità e di prosperità, quindi di buon auspicio rivolto alla Vergine. Va inteso che la mensola appartiene ad un restauro ottocentesco e prima dell’entrata in vigore del calendario gregoriano il 15 ottobre 1582, il raggio di sole non avrebbe mai potuto colpire quel punto per la differenza di undici giorni dovuta al calendario giuliano. In esso l’anno risultava più lungo di 11’ 4” rispetto all’anno tropico, ossia alla rivoluzione apparente media del sole, raggiungendo il divario di un giorno nell’arco di circa 128 anni: insieme con la diminuzione costante dell’anno tropico (precessione degli equinozi, 50,37” all’anno) si giunse nel XVI secolo a undici giorni di differenza, tali da indurre il papa Gregorio XIII a promuovere la riforma del calendario che porta il suo nome, cancellando 11 giorni dal mese di ottobre 1582, passando cioè dal 4 al 15 ottobre. Il problema fondamentale riguardava la data della Pasqua, una festa mobile, che cade la domenica successiva al plenilunio seguente l’equinozio di primavera, fissato da Giulio Cesare al 25 marzo e dal Concilio di Nicea del 325 al 21 marzo, ma nel corso dei secoli l’equinozio si era spostato all’11 marzo.
Il calendario gregoriano ha realizzato un compromesso molto soddisfacente fra una precisione essenziale e una semplicità molto desiderata: conserverà un margine d’errore inferiore ad un giorno solare medio per 2417 anni, cioè fino al 4317. Continuano ad essere bisestili gli anni le cui ultime due cifre sono divisibili per quattro mentre sono bisestili solo gli anni secolari perfettamente divisibili per quattro, come il 2000, ma non il 1900. L’equinozio di primavera può cadere il 21, il 20 o anche il 19, più spesso il 20 e tutte le date del calendario si ripetono con un ciclo di 400 anni: il 2019 lo è stato come il 1619.