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Dispiace davvero dover ripetere sempre cose scontate: il Capodanno pisano è… pisano! Rispetto alle dichiarazioni sul Capodanno rilasciate in questi giorni dal Governatore Giani e dal Presidente del Consiglio regionale Mazzeo l’Amministrazione comunale di Pisa intende fare alcune considerazioni sia nel merito che nel metodo.
Quanto al merito, occorre fare chiarezza una volta per tutte: a Pisa e in gran parte del mondo medievale cristiano l’anno si faceva iniziare “ab Incarnatione”, ovvero il 25 marzo, nove mesi prima del Natale di Gesù. L’uso attuale del 1° gennaio, che prende le mosse dallo stile cosiddetto “della circoncisione”, che secondo l’uso ebraico avveniva otto giorni dopo la nascita, si afferma in tempi diversi in Italia, ma sicuramente solo a partire dal XVI secolo. Questo metodo si rifà a quanto era invalso a Roma dal 153 a. C., che poi coincide con l’incipit astronomico.
L’inizio dell’anno fatto coincidere con la festività liturgica dell’Annunciazione non è dunque un fatto esclusivamente pisano, ma è peculiarità tutta squisitamente pisana quella di anticipare l’anno nuovo al 25 marzo, e non, come nelle altre città, di far iniziare l’anno in ritardo: così lo stile pisano è sempre avanti di un anno. Impensabile voler fare del Capodanno pisano il Capodanno toscano. Forse sarebbe possibile parlare di Capodanni toscani al plurale, tra i quali quello Pisano dovrebbe sicuramente avere il posto d’onore, anche in considerazione del fatto che Pisa per prima, grazie a grandi appassionati di tradizioni pisane come Capecchi, Moschini e Gianfaldoni, negli anni ’80 è tornata a parlare e far parlare di Capodanno il 25 marzo.
C’è di più: nell’uscita di Giani e Mazzeo si afferma che “ricordare il Capodanno Pisano significa riscoprire una delle radici più profonde dell’identità peculiare della Toscana”. Fa piacere che finalmente la parola “identità” sia stata sdoganata e la si possa finalmente utilizzare senza preclusioni ideologiche e soprattutto senza che il ragionamento venga sempre messo strumentalmente sul piano del mero campanilismo. Ma nei secoli tra il X e il XIV, periodo nel quale era incontrastato il “calculus pisanus” del tempo, la civiltà dei Comuni era l’unica realtà politico-sociale e l’idea di Toscana come la intendiamo oggi non esisteva nemmeno.
Un altro elemento che lascia perplessi e poteva essere gestito diversamente è l’abbinamento del 25 marzo con la figura di Renato Fucini. Senza nulla togliere niente al grande letterato maremmano, ritengo che il Capodanno pisano sia una ricorrenza che non ha bisogno di abbinamenti: si tratta di un evento storico, con una precisa matrice religiosa e non di una giornata di studi o di un torneo sportivo, per cui non si vede la necessità di celebrare proprio il 25 marzo di quest’anno, che peraltro è già il “Dantedì”, anche il centesimo anniversario della morte di Fucini. Si può fare in altri modi e, soprattutto, in altri giorni. Per farla breve, ve lo immaginate dedicare il capodanno solare o San Silvestro a qualche figura, per quanto illustre e meritevole? Oppure, allora perché Fucini e non, per esempio, Fibonacci? No, è sbagliato in sé mescolare, contaminare: il Capodanno pisano è il Capodanno pisano. Punto.
Quanto al metodo: né il Sindaco, né io e nessun altro della giunta siamo stati contattati anche solo per annunciare l’iniziativa proposta dalla Regione. È un modo di procedere che lascia sbalorditi, a meno che qualcuno non si sia messo in testa di commissariare il Comune di Pisa. Cosa che non permettiamo a nessuno. Un nostro coinvolgimento, non in quanto espressione di una maggioranza politica, ma in quanto rappresentanti pro tempore dell’istituzione deputata a decidere su Pisa e le sue tradizioni sarebbe stata la prassi corretta.
Al di là, comunque, di questo che possiamo definire uno sgradevole incidente, voglio rinnovare a Giani, che so essere cultore della storia e delle tradizioni locali, la disponibilità dell’Amministrazione comunale e mia personale a incontrarci su questi temi ogni volta, in modo che non si verifichino più spiacevoli episodi, conseguenza di mancanza di comunicazione o di eccessive intermediazioni.