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Evoluzione dell’obliquità di Giove e Saturno causata dalla rapida migrazione dei loro satelliti

Le recenti osservazioni della missione spaziale Cassini hanno rivelato la sorprendente velocità con cui Titano, il più grande dei satelliti di Saturno, si sta allontanando dal suo pianeta. Tale scoperta ha permesso a un team di ricercatori, tra cui Giacomo Lari, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa, di fornire una nuova spiegazione per l’attuale valore dell’inclinazione dell’asse di rotazione (detta anche obliquità) di Saturno. Il risultato in questione è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy e vede coinvolti anche due ricercatori dell’Osservatorio di Parigi, Melaine Saillenfest e Gwenaël Boué. Questo articolo si aggiunge ai lavori già pubblicati dallo stesso team di ricerca riguardo alla futura crescita dell’obliquità di Giove a causa della migrazione mareale dei satelliti Galileiani. I risultati ottenuti hanno importanti implicazioni sull’evoluzione dei pianeti del Sistema Solare e sulla conoscenza degli esopianeti.

“Dalle teorie di formazione planetaria, sappiamo che le obliquità iniziali di Giove e Saturno erano quasi nulle – spiega Giacomo Lari – È necessario quindi capire quale meccanismo ha permesso all’asse di rotazione di Saturno di raggiungere un’inclinazione pari a 27°. Lo scenario comunemente accettato finora prevedeva che, durante la tarda migrazione planetaria (conclusa al più 4 miliardi di anni fa), la frequenza media di precessione del nodo di Nettuno, indicata con s8, fosse diminuita fino a diventare uguale alla frequenza di precessione dell’asse di rotazione di Saturno, bloccandolo in una cosiddetta “risonanza spin-orbit secolare”. Mentre s8 continuava a calare, l’obliquità di Saturno sarebbe stata forzata a crescere per mantenere la risonanza. Una volta che Nettuno ha smesso di migrare, l’obliquità si sarebbe stabilizzata al valore osservato oggi. La rapida migrazione di Titano rende però impossibile questo scenario. Infatti, ora sappiamo che 4 miliardi di anni fa Titano si trovava su un’orbita molto più vicina a Saturno, impedendo alla frequenza di precessione del nodo di Nettuno di raggiungere quella molto più bassa dell’asse di rotazione di Saturno”.

I ricercatori hanno dimostrato che è comunque possibile ottenere l’obliquità odierna del pianeta partendo da un valore minimo di circa 3°. In questo nuovo scenario, la frequenza di precessione dell’asse di rotazione è lentamente aumentata a causa della migrazione di Titano e ha raggiunto, molto più recentemente (circa 1 miliardo di anni fa), il valore di s8, permettendo la cattura in risonanza. A causa del continuo allontanamento di Titano e al blocco in risonanza, l’obliquità di Saturno è piano piano cresciuta fino a raggiungere oggi 27°.

Lo stesso meccanismo è stato recentemente proposto dallo stesso team di ricercatori per la futura evoluzione di Giove: a causa della migrazione dei satelliti Galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto), nei prossimi miliardi di anni Giove entrerà in una risonanza spin-orbit con la frequenza media di precessione del nodo di Urano (s7) e la sua obliquità di soli 3° sarà forzata ad aumentare. Perciò, a differenza di quanto pensato precedentemente, le obliquità di Giove e Saturno non sono fissate una volta per tutte al termine della migrazione planetaria, ma evolvono in maniera continua a causa della migrazione mareale dei loro satelliti. Inoltre, dato che la vicinanza a risonanze spin-orbit e la veloce migrazione dei satelliti appaiono essere delle condizioni non troppo rare per i giganti gassosi, è molto probabile che lo stesso meccanismo trovato per Giove e Saturno intervenga nell’evoluzione dei pianeti extrasolari.

“È interessante notare come questo risultato abbia delle importanti conseguenze sulla storia dell’evoluzione delle orbite dei pianeti del nostro Sistema Solare – conclude Giacomo Lari – I modelli di evoluzione orbitale dei pianeti sono stati finemente calibrati in modo da riuscire a riprodurre l’aumento di obliquità di Saturno ed evitare quello di Giove. Alla luce delle nuove scoperte, questi vincoli non hanno più alcuna ragione di essere considerati, in quanto la crescita di inclinazione dell’asse di rotazione di Saturno non è avvenuta durante la tarda migrazione planetaria come precedentemente pensato”.