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Il 13 novembre è stato indetto, da una rete di sigle sindacali, uno sciopero delle operatrici e degli operatori sociali per puntare il dito contro le esternalizzazioni dei servizi essenziali. Queste sono le pesanti criticità della condizione dei lavoratori e delle lavoratrici: contratti ciclici, riduzione di orario, discontinuità di salario, impossibilità di accedere a forme di integrazione del reddito, ammortizzatori sociali che coprono non più del 50% della retribuzione, ore di équipe e programmazione non riconosciute.
Si tratta di un appuntamento straordinario, un’occasione preziosa per far sentire una voce troppo spesso trascurata e permettere a operatori ed operatrici di uscire dalla condizione di invisibilità alla quale sono relegate dalle istituzioni, dai servizi, dai politici e dalla stessa cittadinanza.
Nello svolgimento degli incarichi ad essi assegnati, i lavoratori e le lavoratrici dei servizi alla persona incarnano il volto dello stato e rappresentano le istituzioni: un compito altissimo, delicato, tanto da essere considerato al primo posto tra i livelli essenziali dei servizi sociali.
A Pisa la situazione è esplosiva: più della metà delle operatrici e degli operatori del servizio sociale territoriale è dipendente di una cooperativa e lavora con meno stipendio, meno tutele, meno diritti.
Ripercorriamo una vicenda che dura da vent’anni ma che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sembra essere da sempre invisibile.
Il servizio sociale è un servizio essenziale e di competenza comunale. Fin dall’inizio, però, il Comune di Pisa ne ha affidato la gestione all’azienda ASL che, a sua volta, l’ha appaltato alla cooperativa sociale Agape.
È importante ribadirlo: dal 1996 la cooperativa Agape ha fornito manodopera alla ASL, un’attività esplicitamente vietata dalla legge sugli appalti.
Una situazione delicatissima, alla quale pochi anni fa è stata messa una toppa peggiore del buco.
Dal 2016, infatti, con una nuova gara la ASL ha appaltato interamente ad Agape il settore socio assistenziale e ha separato gli e le assistenti sociali della cooperativa da quelle della ASL: allo stato attuale, infatti, il servizio sociale che si occupa di disabilità, non autosufficienza e salute mentale è assunto regolarmente ed a tempo indeterminato dall’Azienda ASL, mentre il comparto socio assistenziale (prevenzione e tutela minorile e adulti in difficoltà) è interamente gestito dal personale della cooperativa Agape.
Una sorta di cessione di un ramo d’azienda, che coinvolge per di più una materia delicatissima.
Una scelta scellerata che ha portato tragiche conseguenze su più fronti.
Sul piano delle tutele iI servizio pone in condizione di disparità i lavoratori e le lavoratrici dal punto di vista delle garanzie, dal punto di vista del salario e, fatto più grave, dal punto di vista della ricattabilità sia sul fronte professionale che sindacale.
Sul piano della qualità del servizio, siamo tornati a una separazione netta tra il settore sociale e quello sanitario, con un evidente peggioramento delle prestazioni del sistema pubblico. Il risultato è un ennesimo spreco di soldi, un ritorno all’inefficiente sistema a canne d’organo e una inutile duplicazione degli interventi per le fasce più a rischio della cittadinanza. Per un nucleo familiare che ha problemi diversificati (pensiamo alla presenza in famiglia di un anziano non autosufficiente, di un minore in difficoltà o di un genitore in difficoltà economiche, ad esempio) non è raro osservare la presa in carico di tre, quattro assistenti sociali con conflitti di competenze e trasferimenti degli utenti da un operatore all’altro.
Sul piano della qualità professionale, assistiamo ad una sequela di sostituzioni, cambiamenti, rotazioni che hanno portato ad un impressionante e vorticoso turnover, oltre che ad una galassia di approcci contrastanti, competenze squilibrate, formazioni diversificate.
Sul piano dell’assetto istituzionale, abbiamo assistito anche alla duplicazione di Unità Funzionali di Coordinamento del Servizio sociale territoriale: con la duplicazione della dirigenza (una relativa al comparto sociosanitario ed una a quello socio assistenziale), oltre ad un evidente spreco di risorse, si sancisce sempre più il definitivo abbandono del perseguimento dell’integrazione sociosanitaria.
Noi riteniamo che questa situazione sia insostenibile e che le responsabilità del perdurare di questa situazione illegittima ed ingiusta sia da addebitare a diversi livelli di responsabilità istituzionale.
L’unica risposta possibile è la stabilizzazione dei lavoratori, l’eliminazione delle disparità contrattuali e un serio processo, su scala regionale, di internalizzazione del servizio di assistenza sociale.
Ormai non si può tornare indietro, gli anni sono passati, ma il futuro può essere diverso.
Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione Comunista – Pisa Possibile