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La seconda ondata del Covid-19 sta colpendo duramente. Pisa, con i suoi 3.864 casi complessivi, risulta essere una delle province più colpite ma ciò che più conta, il timore più grande, è il carico importante che potrebbe a breve interessare le nostre strutture ospedaliere, in quanto l’aumento esponenziale dei contagi seguirà inevitabilmente l’aumento dei ricoveri e dei ricoveri in terapia intensiva.
Gli ospedali nuovamente in affanno, come denunciano in queste ore le organizzazioni sindacali di base, a partire dal nuovo Covid Hospital di Cisanello, con mancanza di personale, addirittura di dispositivi di protezione individuali per lo stesso, e nessun riconoscimento economico per il rischio infettivo e professionale. Per non parlare del rischio di congelare nuovamente la normale attività sanitaria per le altre patologie, anche gravi.
Siamo assolutamente solidali con le loro rivendicazioni e ne condividiamo la denuncia della situazione in cui continua a versare la sanità pisana, dall‘azienda ospedaliero-universitaria all’azienda sanitaria locale Nord Ovest. Oltre cinque mesi trascorsi inutilmente, ritrovandoci con decisori impreparati e a cui va imputata una scarsissima capacità di programmazione nella gestione dell’odierno picco assolutamente prevedibile, annunciato e destinato, ahinoi, a crescere.
Nessun serio piano di assunzioni del personale medico, infermieristico e tecnico, pur in evidente stato di storica carenza strutturale; ma le solite ricette di far ricorso a personale precario. Strutture necessarie, come quelle intermedie e i cosiddetti alberghi sanitari, esistenti solo sulla carta. Prevenzione e igiene pubblica alla corda nel far fronte alle richieste di tamponi ed in grande difficoltà nel dare risposte e nell’attivare il tracciamento dei casi mettendo in campo quelle risorse necessarie, soprattutto umane, di personale, che ci avrebbero permesso di potere far maggior fronte al dilagare dei contagi; RSA risultate nuovamente focolai di contagio tanto da richiedere nuove chiusure per evitare una nuova strage.
Il “tormentone” che ci ha accompagnato, anche in Toscana, durante la prima fase della pandemia, che nulla sarebbe stato come prima, a cominciare dai buoni, e alquanto ipocriti, propositi di un radicale cambio di passo, risulta oramai stantio. Ci chiediamo, infatti, dov’è il rafforzamento del servizio sanitario pubblico, soprattutto dell’assistenza territoriale (operatori territoriali, USCA, medicina generale) in cui si sarebbe dovuto celermente investire risorse economiche ed umane dopo decenni di tagli lineari, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro.
Siamo, insomma, di fronte alla solita, triste, gattopardesca realtà -a fronte dell’imminente tragedia che potrebbe nuovamente e duramente colpirci- in cui si fa finta di cambiare perché tutto resti uguale con il solito prosperare del privato che va a sostituire un servizio pubblico sempre più in ambasce e la scarsa propensione a pianificare in modo strategico per realizzare quella trasformazione di sistema necessaria anche nella nostra Regione.
Tocca a noi, dunque, mettere sul tavolo delle proposte di respiro: concentrandoci in primo luogo sul rilancio di investimenti strutturali per rafforzare il servizio sanitario nazionale, in termini di risorse economiche strutturali e umane stabili; bloccando e i tanti processi di privatizzazione della sanità restituendo servizi e prestazione al pubblico; dando effettiva priorità all’investimento sui servizi territoriali, attraverso un radicale cambiamento nelle politiche pubbliche, regionali e aziendali, sia sul versante della prevenzione, sia sull’organizzazione delle cure primarie, anche dotandosi di nuovi modelli e strumenti; puntando con forza sulla ricerca pubblica di base e l’innovazione sanitaria (condizione fertile nella nostra realtà pisana) e sullo sviluppo di un’industria sanitaria pubblica che eviti speculazioni e garantisca equità di accesso.