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C’è un’arma non convenzionale che in qualche modo minaccia l’Europa e la stabilità delle sue democrazie: è la disinformazione, uno degli strumenti più efficaci e “innovativi”, grazie anche alle nuove tecnologie, impiegati da Paesi esterni per interferire negli affari interni degli Stati dell’Unione Europea e per ottenere vantaggi dalla loro destabilizzazione. Ultimo esito della creazione ad arte di “fake news” e di campagne di disinformazione è quello relativo alla pandemia da Covid-19 che risulta avere visto in prima linea in questa azione paesi come Cina e Russia. Recenti e documentate sono inoltre le interferenze nel referendum su Brexit o sulle elezioni europee del 2019. Fra le “azioni di difesa” che l’Unione Europea ha inteso imbracciare per potenziare la tutela dei propri interessi e dei propri Stati membri ci sono conoscenza e ricerca scientifica. Pubblicato alla fine di giugno 2020 e disponibile su internet è il report “Institutions and foreign Interferences”, lo studio commissionato dal Parlamento Europeo, su richiesta della Commissione Affari Costituzionali (Afco), al gruppo di ricerca in Transnational Governance dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna. Lo studio, realizzato da Edoardo Bressanelli, ricercatore “Montalcini” in Scienza Politica, con Anna di Palma, Eric Repetto, Gaetano Inglese, Sofia Marini, allieve ed allievi di Scienze Politiche della Scuola Superiore Sant’Anna, è stato distribuito ai parlamentari europei e costituisce una base importante per valutare le risposte che l’Unione Europea può mettere in campo per contrastare le interferenze straniere. Cina, Russia, Nord Corea e Iran, secondo questo report, sono i paesi individuati come i principali utilizzatori di strategie di interferenza attraverso la disinformazione. Si tratta di “Paesi autocratici che sfruttano i punti deboli caratteristici dei sistemi democratici”. Due i casi analizzati nel dettaglio all’interno del report: le interferenze esterne durante le elezioni europee del 2019 e quelle durante i mesi più drammatici della diffusione del Covid-19 in Europa.
“Sin dal 2015 il Consiglio europeo – spiega Edoardo Bressanelli – ha individuato nella Russia il Paese che, più di tutti, mette in campo questa attività di disinformazione per indebolire l’Unione, minandone la coesione, su obiettivi strategici come il controllo di aree di influenza, ad esempio nei Balcani o nell’Europa Orientale. Pensiamo alla guerra in Ucraina ed al conflitto ibrido fra Russia e Unione Europea stessa. L’obiettivo di queste campagne di disinformazione è orientare l’opinione pubblica, polarizzare il dibattito, muoverla a schierarsi. Un altro esempio, in questo senso, è la campagna per la Brexit, sulla quale è stato appena pubblicato un report dal Parlamento britannico”.
Causare danni agli Stati membri diffondendo “fake news” o notizie “semivere” è una forma di attacco all’Unione Europea che, da parte sua, in questi anni ha alzato in maniera significativa le sue difese: “Ad esempio, per minimizzare le interferenze esterne nelle elezioni del 2019 – commenta Edoardo Bressanelli – l’Unione Europea ha siglato accordi con Google, Facebook, Twitter, per aumentare la responsabilizzazione dei social media e spingere questi colossi ad autoregolamentarsi e creare le condizioni per identificare gli account che distribuiscono notizie false”. Nel report, assieme alla raccolta di dati e a uno scrupoloso lavoro analitico del gruppo di ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna, sono presenti anche alcune “raccomandazioni”: “Benché si possa dire, a proposito delle elezioni del 2019, che le interferenze esterne non abbiano avuto l’effetto temuto – spiega ancora Edoardo Bressanelli – la stessa cosa non vale per il Covid-19. L’Europa deve quindi investire ancora più risorse sulle unità operative dedicate in maniera specifica al servizio di contrasto alla disinformazione. La comunicazione strategica riveste un ruolo sempre più fondamentale, mentre cresce la competizione con attori globali come Russia e Cina”.