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È di qualche giorno fa la pubblicazione sula rivista Science Advances di uno dei primi articoli sui risultati della spedizione oceanografica dell’International Ocean Discovery Program a largo dell’isola nord della Nuova Zelanda, a cui ha partecipato, unica italiana a bordo, la professoressa Francesca Meneghini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Cosa si è scoperto? Che i cosiddetti terremoti silenti, che in termine tecnico sono definiti slow slip events, avvengono lungo faglie in rocce con caratteristiche geologiche molto diverse tra loro.
Ma partiamo dall’inizio: nel marzo-aprile 2018 la spedizione oceanografica, con progetto dal nome “Hikurangi Subduction Margin Coring and Observatories – International Ocean Discovery Program Expedition 375: unlocking the secrets of slow slip through drilling to sample and monitor the forearc and subducting plate”, ha visto la nave statunitense Joides Resolution perforare e campionare per 58 giorni il margine in subduzione di Hikurangi. Lo scopo era quello di studiare un particolare tipo di movimento lungo faglie che genera appunto gli “slow slip events” o “slow earthquakes”, anche per capire quali siano le loro relazioni con gli eventi sismici catastrofici.
“Gli slow slip events sono stati scoperti e registrati tramite stazioni GPS solo negli ultimi 20 anni e rappresentano un tipo di movimento “intermedio” tra quello delle placche tettoniche, che si muovono di pochi centimetri l’anno senza che noi lo percepiamo, e il movimento lungo faglie di pochi metri al secondo che libera energia in maniera catastrofica generando terremoti e tsunami – spiega la professoressa Meneghini – Questi “terremoti lenti”, o “terremoti silenti”, non sono, appunto, terremoti in senso stretto perché sono caratterizzati la piccoli incrementi di scivolamento che rilasciano poca energia per giorni e settimane, e che si ripetono ogni anno o ogni due anni. Nonostante non rilascino energia in modo sismico, possono causare tsunami, e rappresentano quindi un pericolo per la vita dell’uomo. Inoltre, dove registrati, sono localizzati lungo porzioni di faglia che si chiamano in gergo “bloccate”, e che sono quelle che si prevede possano rompersi in modo sismico, ma ancora non è chiaro quale sia la relazione con i grandi terremoti, di cui forse potrebbero essere fenomeni precursori”.
Alla spedizione hanno partecipato 32 ricercatori provenienti da Stati Uniti, Europa, Nuova Zelanda, Giappone, Gran Bretagna, Cina, Corea, Brasile, perforando e campionando 4 pozzi a profondità di circa 1 km e sotto una colonna d’acqua di 3,5 km.
“Lo studio appena pubblicato su Science Advances raccoglie i primi risultati della spedizione che mostrano come la placca che entra in subduzione, cioè in scorrimento, nella zona sorgente di slow slip events sia caratterizzata da rocce e sedimenti molto diversi tra loro in composizione e caratteristiche meccaniche e fisiche, nonché da una topografia molto frastagliata che include pianure abissali alternate a seamounts, montagne sottomarine che possono superare 1 km di altezza rispetto al fondo oceanico – aggiunge la professoressa Meneghini – Sono dati molto importanti perché sono direttamente collegati ad una delle ipotesi sul tavolo della comunità scientifica secondo la quale gli slow slip events sarebbero favoriti in faglie che attraversano rocce con caratteristiche molto diverse, con blocchi rigidi che interagiscono con materiali più “morbidi” e duttili intorno. Ipotesi che sembra supportata anche da modelli e simulazioni numeriche nonché da esperimenti in laboratorio. Nel mio stesso progetto di ricerca sono compresi esperimenti di laboratorio, che sto facendo presso la sede INGV di Roma, che dovrebbero riprodurre movimenti sismici su campioni da me prelevati durante la spedizione. Sono molto soddisfatta perché, oltre a risultati scientifici di alto valore, questa esperienza ha rappresentato indubbiamente una opportunità enorme di crescita anche dal punto di vista culturale e delle relazioni”.