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Dal mondo vegetale può arrivare un valido aiuto per ridurre la concentrazione di inquinanti organici e composti farmaceutici negli impianti di trattamento delle acque reflue, come conferma lo studio – appena pubblicato sulla rivista internazionale “Environmental Science and Pollution Research” da ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna – che ha dimostrato l’efficacia di salici e cannucce di palude per diminuire la presenza di queste sostanze. Nuove classi di inquinanti organici e numerosi composti farmaceutici sono presenti in maniera costante, seppure a bassissime concentrazioni, negli impianti per il trattamento delle acque reflue. I metodi di depurazione convenzionali non risultano in grado di rimuovere in maniera efficiente tutte le classi di questi nuovi microinquinanti. Essi, infatti, possono persistere nell’acqua anche dopo aver concluso il ciclo di depurazione. Questo problema si presenta su scala globale e genera una crescente attenzione e una viva preoccupazione per i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute pubblica.
Grazie ai risultati dello studio, i ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e quelli dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant’Anna hanno adesso dimostrato come sia possibile eliminare con successo i microinquinanti dalle acque, utilizzando piante di salice e di cannuccia di palude. In particolare, lo studio ha valutato l’efficacia di specie erbacee (Phragmites australis L.) e arboree (Salix matsudana Koidz.) nel rimuovere composti organici utilizzandoli in sistemi di fitodepurazione, collegati al ciclo tradizionale di depurazione delle acque reflue.
“La rimozione dei composti si è focalizzata sui farmaceutici come il diclofenac, il ketoprofene, e l’atenololo e su altri inquinanti come i nonilfenoli e il triclosano. Queste sostanze sono presenti come principio attivo in farmaci antidolorifici e antiinfiammatori e in tensioattivi assai diffusi”, afferma Lorenzo Mariotti, attualmente ricercatore junior al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa.
“Per quanto riguarda la capacità di queste macrofite, ovvero piante di grandi dimensioni, di bioaccumulare, cioè accumulare all’interno del loro organismo, e degradare tali prodotti, la ricerca ha dimostrato che sia P. australis che S. matsudana meglio conosciute come salici e cannucce, sono in grado di farlo e anche in modo efficiente”, sottolineano Simona Di Gregorio e Andrea Andreucci del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa.
“La complessità del refluo nella sua composizione in microinquinanti suggerisce che la consociazione di specie vegetali diverse permetta una migliore fitodepurazione delle acque reflue”, commentano Luca Sebastiani e Alessandra Francini, rispettivamente direttore e ricercatrice dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna.
Dello studio sono co-autori Alessandra Francini, Lorenzo Mariotti, Simona Di Gregorio, Luca Sebastiani e Andrea Andreucci.